William Yeats dice che le responsabilità cominciano nei sogni: certo esse vanno oltre il bilancio contabile. Le imprese private, più che le istituzioni pubbliche, fanno sforzi per mostrarsi responsabili verso la collettività. Questi sforzi vengono presentati in documenti molto simili ai bilanci contabili, detti sustainability report. Documenti di un centinaio di pagine, spesso con illustrazioni ispirate al bello e al buono, che descrivono le performance – economiche e non – dell’impresa ed il suo impatto allargato sulla società che la circonda: i clienti, i dipendenti, l’ambiente, le comunità locali.
Occorre un modo di analizzare i sustainability report – adesso che perfino l’Economist mescola la sua voce alla babele della Csr (numero del 16 maggio, 2009, p. 67). Proponiamo quattro valori guida: concorrenza, trasparenza attiva, attuazione, microetica. Nel seguito diamo una preview del questionario che declina questi valori.
Chiamiamo attiva la trasparenza richiesta perché chiediamo che l’impresa ci venga a raccontare le cose calde di cui tutti parlano: gli incidenti mortali, cui mi pare è sensibile il mondo del lavoro italiano; nel 2009, per le banche: proferire la parola “Lehman”e il numero dei clienti intrappolati; i conflitti interni tra dipendenti; il deficit di diritti di inquinamento da CO2 al 2012. Mostrare dubbi e vulnerabilità: le parole chiave della trasparenza attiva. Valgono anche le «excusatio non petitae». Dire poco e non fare volume.
L’attuazione misura la capacità di sostanziare i propositi in azioni concrete e misurabili: cultura della attuazione vs. politica dell’annuncio. Contro la crisi servono consuntivi e confronti, non piani e preventivi; nel settore pubblico ci vogliono misure di efficacia dell’azione pubblica più che volumi di spesa; nel privato: misure del servizio e della qualità dei beni. La sostenibilità del business nel mondo “oil” implica dati di replacement delle riserve; per le banche: dati del cosiddetto rischio sottostante. Indicatori è parola chiave della virtù della attuazione.
Si tratta di una valutazione asettica? No: essa risente delle preferenze del recensore e del contesto in cui questi si muove. L’importante è che il sistema sia aperto e si cumulino gli accordi che si raggiungono nella discussione. È probabile che le imprese sappiano di se stesse più di quanto raccontano e quindi esse chiedono fiducia a scatola chiusa. Il rating stesso è un sistema chiuso e segreto. Che almeno il rating non sia esclusivo e non trasparente esso stesso. Si crei una comunità open source del rating.
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