Cultura

Se una notte d’inverno una lettrice instancabile…

Una scrittrice racconta il suo rapporto con la lettura

di Redazione

…si imbatte in un libro sulla repressione argentina. E ne scopre la sconcertante attualità. «Il Volo» di Horacio Vertbisky racconta l’orrore della violenza organizzata. Una storia che si ripete in tante parti del mondodi Randa Ghazy
Voglio essere sincera. Quando mi è stato chiesto di parlare di un libro a me caro, sono andata nel panico. Ne avessi letti due, andrei per esclusione. Avessi letto tutta la letteratura classica, me la caverei parlando di qualche sublime capolavoro alla Italo Calvino o alla James Joyce. Ma la verità è che sono una lettrice molto instabile e poco fedele: saltello da un genere e da un autore all’altro senza alcun ritegno.
Daniel Pennac d’altronde mi riconosce il diritto di leggere qualsiasi cosa, il diritto di spizzicare e anche di saltare le pagine. E io me li prendo ingordamente. Dunque, questa richiesta mi manda in crisi: scegliere nel caos della mia labile memoria e del mio cuore infedele uno ed un solo libro, uno ed un solo autore da esaltare, adorare, e ringraziare? ardua impresa.
Potrei più facilmente citare stralci di libri che mi hanno fatto perdere la testa, che mi hanno letteralmente stregata, lasciandomi quella sensazione tanto esaltata da Salinger, ovvero la voglia che l’autore sia mio amico per la pelle e che io lo possa chiamare al telefono tutte le volte che mi gira (a proposito, Il giovane Holden? grande, grande capolavoro), come ad esempio il Calvino già citato, nel suo geniale Se una notte d’inverno un viaggiatore, un metaromanzo che comincia così: «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa?», un libro che in sostanza narra la storia di se stesso, e di un ipotetico Lettore che, nel mare dei refusi, degli errori di stampa e degli scritti apocrifi tenta di leggere il nuovo libro di Calvino e, dopo lunghe peripezie, pur non trovandolo, ha scoperto mille nuovi generi, e si è appassionato non a uno, ma a decine di romanzi, pur senza aver trovato quello che davvero è lo scritto di Calvino.
Ma non volevo parlare di Calvino. Ecco, appunto, è impossibile dedicarmi ad un solo libro: sono una lettrice nevrotica, ossessiva-compulsiva? ma proprio per questo ho deciso infine di adottare il criterio cronologico e di parlare non del migliore libro che ho letto, ma semplicemente dell’ultimo che mi è capitato tra le mani. Si tratta di Il volo di Horacio Verbitsky. Non è un romanzo, ma semplicemente una testimonianza. Alcuni libri hanno una bellezza fulgida che è direttamente proporzionale, oltre che al loro contenuto e alla loro forma, alla loro storicità. Alla loro capacità dirompente di destabilizzare lo status quo nel momento esatto in cui vengono dati alla luce. Nel 1995, quando questo libro venne pubblicato in Argentina, la società civile non aveva ancora attuato quel processo catartico di gestione del dolore, e quell’incontro ravvicinato con la propria coscienza che un Paese che ha avuto 30mila desaparecidos non può non affrontare.
Verbitsky intervista Adolfo Scilingo, un membro pentito dell’apparato repressivo al potere dal 1973 al 1983, e gli chiede di raccontargli “il volo”. Così venivano uccisi molti dissidenti: narcotizzati, infilati in un aereo, e poi gettati di sotto. Il medico che li narcotizzava una seconda volta durante il volo, dopo se ne andava in cabina. «Perché?» chiede Verbitsky. «Dicevano che era per via del giuramento d’Ippocrate», risponde Scilingo. «Si diceva che il motivo fosse questo e, in qualche modo, veniva accettato da un punto di vista razionale». Non c’è morbosità, non ci sono moralismi: solo due uomini che si interrogano su perché la storia argentina sia andata in quel modo, che parlano della vita, della morte, delle aberrazioni a cui è soggetta la natura umana. L’attualità di questo intreccio è sconcertante.
Quanti Verbitsky potrebbero intervistare uno Scilingo americano, afgano, iracheno, russo, ceceno, egiziano, e via dicendo? Il sistematico annientamento di innocenti avvenuto nei Paesi sudamericani non è altro che la violenza organizzata che si riproduce ad alta densità, laddove però, nel resto del mondo, oggi, ogni giorno, continua a verificarsi. Subdolamente, e in alcuni casi in sordina. Ma avviene. E allora questa intervista così cruda e necessaria non è più un regalo all’Argentina, ma a tutto il mondo. Un inno all’umanità. Come ammette lo stesso Scilingo: «Adesso non posso dire che si trattasse di sovversivi. Erano esseri umani».

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.