Cultura

Io e Cuminetti, a spasso nell’abisso delle domande

di Redazione

«Seminare nuovi occhi nella terra», parole che sembrano aria, inafferrabili. Ma di cui abbiamo bisogno per respiraredi Lubna Ammoune
Seminare nuovi occhi nella terra, di Mario Cuminetti, ha un titolo che di per sé esprime già un desiderio. Questo desiderio diventa, pagina dopo pagina, compito, responsabilità, quasi una missione che non rende eroi ed eroine ma uomini e donne che sanno vivere il proprio tempo. Un libro che cambia la vita? O cambia il pensiero? In modo semplice e complesso invita ad ascoltare le voci del mondo e ad abitare la contraddizione per la fioritura di nuovi tasselli di realtà. Risponde a esigenze interiori attraverso un linguaggio filosofico, religioso e poetico, che sembra aria, inafferrabile, ma di cui abbiamo bisogno per respirare. Smuove il mio animo, mi costringe a scavare nel mio profondo, mi ripone domande che spesso incalzano. A ogni pagina sembra di riscoprire un nuovo significato delle parole dell’autore con cui si è creato un legame che va oltre lo spazio e il tempo. La lettura diventa un riconoscere l’abisso, un attraversarlo fino in fondo come condizione per uscire all’aperto e tentare percorsi imprevisti attraverso la modernissima e angustiante Babele delle culture, delle fedi e dei linguaggi. Il mondo, così come il volto umano, è presenza e assenza, si rivela e si nasconde, isola e unisce. L’andamento della lettura è una tensione che invita ad andare avanti, guida dolcemente, senza pretese. Si crede di afferrare qualcosa, ma si può cogliere dopo che si sono alternati momenti di pausa e attesa. Il pensiero corre veloce sostando intorno e attraversando sentieri interrogativi, sollevando più domande di quelle che poi verranno svelate. L’impossibilità umana di dare una risposta, se rivela la finitezza, nello stesso tempo manifesta apertura e sete di totalità. Abitare nel simbolo e lasciarsi invadere dalla sapienza rivelano quanto siamo fatti di desiderio, di quanto soffriamo per un’assenza, sentita più dolorosamente quanto più percepiamo che il vuoto non può mai essere colmato. Nasce il presupposto che qualcosa/qualcuno venga, attesa la cui condizione di presenza è stata definita «nostalgia del dono» da Caproni. Cuminetti rivela «l’incantesimo non incantesimo» della scoperta che volto e mondo sono simili, rivelazione di un’armonia in cui siamo immersi e che ci invita a scoprire, pur cantando in terra straniera, altre armonie, finché non formino una sinfonia. Cosa mi lascia la lettura e cosa mi ricorda il pensiero dell’incontro intimo con l’autore? Sento l’eco degli orizzonti della vita, ne vengono richiamati i contorni, delineati i limiti, se ne prospettano i desideri che sono seme della vita, seminando nuovi occhi in una terra vicina e lontana.

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