Cultura

Da «Piccole donne» a Kundera, i libri mi raccontano

di Redazione

Nelle sottolineature delle pagine i passaggi
che mi hanno fatto crescere. Passando per un cuore disegnato su un libro di fiabe persiane…di Sara Hajezi
Tutti i miei libri sono sottolineati qua e là. Sottolineare è il mio modo per viverli, per partecipare, per farli miei. Mi sono appropriata di pezzi di libri da quando ho iniziato a leggere. Il primo in assoluto è stato Piccole donne di Luisa Mae Alcott. Non è un caso che avessi letto proprio quello; sono cresciuta nella Torino degli anni 80, quando i tempi erano scanditi anche dalla televisione per ragazzi e, in particolare, dal programma in onda su Italia Uno: Bim, Bum, Bam! Alle 16 in punto, dopo i compiti, appuntamento fisso con i cartoni animati giapponesi che ormai hanno fatto epoca, tra cui c’era anche Piccole donne, con la sigla cantata dalla mitica Cristina D’Avena. Il libro e il cartone erano inscindibili per me bambina. I cartoni davano forma e colore ai personaggi del libro, il libro dava profondità e carattere ai personaggi del cartone. E io passavo la maggior parte del tempo a identificarmi in Jò, la scrittrice più maschiaccio, o in Beth, la musicista malaticcia, ma, chissà perché, mai in Meg, che era quella che si sposava e faceva figli?
Poi arrivò il giorno in cui Piccole donne fu rimpiazzato brutalmente da un altro libro: Le antiche fiabe persiane. Non furono di quel libro tanto i bellissimi racconti ambientati a Samarcanda o sul mar Caspio a impressionarmi da bimba: certo erano fiabe, le leggevo volentieri, ma la mia passione aveva un motivo preciso. Quel libro l’avevano curato i miei genitori, e sulla prima pagina vi stava scritto in belle lettere la dedica: «A Sara». L’ho tenuto in cartella per un mese per mostrarlo a tutta la classe, poi a tutta la scuola. Quel testo era diventato un punto di riferimento della mia identità italo-iraniana: mi sentivo diversa dagli altri perché il mio nome stava scritto sulla prima pagina, e per evitare che a qualcuno sfuggisse quel dettaglio così importante, avevo pensato bene di evidenziarlo incorniciandolo con un cuoricino disegnato con la penna.
Crescendo il patrimonio libresco è divenuto sempre più ricco e vario, ma nel mare dei libri e delle frasi o dei paragrafi che ho sottolineato ce ne sono stati alcuni che ho sentito davvero spiritualmente vicini, come L’Immortalità di Milan Kundera. È un romanzo che parla della caducità delle cose, e del perenne sforzo umano di rimanere giovani, di essere immortali, così come dell’illusione dell’amore ideale, prigioniero in realtà del sesso e del corpo: «Quel sorriso e quel gesto avevano fascino ed eleganza, mentre il volto e il corpo di fascino non ne avevano più. Era il fascino di un gesto annegato nel non-fascino di un corpo». Sarà che Kundera parla anche di Goethe, sarà che in ogni libro sono racchiusi tutti i libri che l’autore ha letto e forse anche di più, o sarà semplicemente che sono io che in un libro ritrovo tutte le mie sottolineature, ma è grazie a questi autori che da “piccola donna” sono divenuta donna.

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