Cultura

Renzo, Lucia e la “sfigata” che divenne un modello

Un'egiziana e «I Promessi sposi»: storia di un rapporto speciale

di Redazione

Grazie a un compito in classe su Manzoni andato bene, le mie compagne di classe hanno cominciato a vedermi con occhi diversi. E io ad amare quella storia. Che in Egitto è ancora d’attualitàdi Rassmea Salah
Non mi ha certo cambiato la vita, ma ne ha di sicuro segnato molti momenti, a partire da quella volta in cui, dopo un fantastico weekend al lago, incontrai un mio amico comasco doc e gli raccontai che ero stata dalle sue parti, «al lago di Lecco?». Corrucciato mi rispose: «Non esiste il lago di Lecco? si tratta di quel ramo del lago di Como?!». Ancora lui: il celeberrimo Manzoni. E ripensai a quanto ricorrente fosse stato nella mia vita sin dai tempi delle medie, quando mi trasferii nella cascina Manzoni, nell’omonima via, al civico 48. La leggenda vuole che l’autore, da bambino, passasse parte delle sue vacanze estive qui, quando era ancora campagna. Anche se ancora non lo conoscevo, quello fu il mio primo “incontro” con lo scrittore, che da lì non mi avrebbe mai più lasciata e che mi avrebbe accompagnata per tutto il tragitto del liceo, nella buona e nella cattiva sorte. Durante l’ultimo anno delle medie, iniziai ad informarmi sui licei linguistici di Milano, e il primo che i miei professori mi proposero fu proprio il Liceo linguistico “A. Manzoni”. Pura casualità, pensai. Quando però mi spiegarono che, a causa dell’elevata richiesta di iscrizioni, ad ognuno dei candidati veniva associato un numero, e che il numero a me assegnato era il 48, rimasi alquanto sbalordita. Inutile dirvi che con questa magica combinazione fui naturalmente estratta. Iniziava a starmi simpatico, questo Manzoni.
Durante il primo anno, sentendomi grata nei suoi confronti per avermi “aiutata” ad entrare in quella scuola, mi appassionai nella lettura de I Promessi sposi. Una volta, interrogata sul contenuto del capitolo VIII del romanzo, mi impegnai in una avvincente risposta di mezz’ora, dopo la quale la prof mi diede il mio primo voto in italiano: una bella insufficienza! Non tanto per l’esposizione – che era stata buona – quanto per aver confuso il numero romano del capitolo VIII con quello del XIII. Me la presi naturalmente col povero Manzoni perché non aveva dato ai suoi capitoli dei titoli ma solo dei numeri che non riuscivo ancora a decifrare!
Dopo questo episodio la mia simpatia per lui si affievolì sensibilmente, ma verso la fine dell’anno riaffiorò grazie al compitone finale su tutta la sua opera che mi fece il più bel regalo del semestre: il voto più alto della classe. Questo diede una svolta al rapporto con le mie compagne che iniziarono a considerarmi non solo una di loro ma addirittura una da cui copiare! Per una che aveva iniziato l’anno con un 5 in italiano, essere considerata un punto di riferimento per suggerimenti vari ha senz’altro aumentato la mia autostima. Copiare in letteratura italiana da una che aveva quel nome strano e impronunciabile è stato per le mie amiche un divertente paradosso, per me una riuscita integrazione scolastica, un riscatto personale, e un cambio di immagine: da sfigata di origine straniera che non conosceva i numeri romani, a “studentessa modello”.
Durante la mia prima estate da liceale, mi portai I Promessi sposi in vacanza in Egitto, e spesso preferivo restare a casa a leggerlo piuttosto che uscire con le mie cugine. Tanto, pensavo, era più o meno lo stesso. La fiction del libro corrispondeva alla realtà del Cairo: le mille interferenze esterne fra fidanzati desiderosi di sposarsi, lì erano una prassi; e l’esclamazione «Questo matrimonio non s’ha da fare!», una costante.

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