Il Papa e il cardinale Bagnasco hanno demolito in due giorni l’immagine (già logora) che voleva la Chiesa in Italia “prigioniera” del governo Berlusconi. Domenica 24 maggio Benedetto XVI a Cassino e lunedì 25 il presidente della Cei in Vaticano hanno parlato all’unisono e con estrema libertà di crisi economica e immigrazione. Sul grave momento economico che vive il Paese entrambi hanno respinto le analisi «più rasserenanti» e hanno chiamato le cose con il loro nome. «Precarietà preoccupante», «ferita della disoccupazione», necessità di «soluzioni valide» (il Papa); «ammortizzatori davvero modesti» per i precari, lavoratori licenziati come «futile zavorra» dalle imprese (Bagnasco). Ratzinger, prendendo ad esempio il monachesimo benedettino, ha invitato a «umanizzare il mondo del lavoro»; il cardinale di Genova, riprendendo l’espressione del Papa, ha tirato le conclusioni: «Improponibile una concezione meramente mercantile del lavoro umano, quasi fosse una qualunque merce di scambio sottoposta alla legge della domanda e dell’offerta». Accenti quasi marxisti, parole e analisi che non si odono da tempo anche nel campo dell’opposizione di centrosinistra. Ma ad impressionare di più è il fatto che questi pronunciamenti sul momento più “cruento” della crisi, vengano da uomini di Chiesa come Ratzinger e Bagnasco, non provenienti dalle correnti teologiche “progressiste” del cattolicesimo e non sospettabili di simpatie politiche con il mondo postcomunista. Essi parlano semplicemente in nome del senso di umanità, appoggiandosi sulla semplicità della tradizione cristiana. E questo basta a metterli in controtendenza.
(anonimo romano)
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