Sostenibilità

Dopo Palmaria, ecco quelli che restano da abbattere

Un dossier di legambiente elenca gli “ecomostri” sulle coste italiane

di Redazione

Sfregiava uno dei tratti più belli della costa Ligure. Finalmente è caduto l’ecomostro in cemento armato di Palmaria, nel Parco regionale di Portovenere. Una bruttura di 8 mila metri cubi di calcestruzzo che da più di quarant’anni rovinava uno dei luoghi più belli della Liguria. L’ecomostro anche l’anno scorso trovava posto nel “libro nero” di Legambiente, tra i
peggiori 5 scheletri di cemento da abbattere, segnalati dal dossier Mare Monstrum. “Un sospiro di sollievo, una vittoria della legalità” è lo stato d’animo e il pensiero di Legambiente all’indomani dell’abbattimento del maxi manufatto.
Ed ora l’associazione ambientalista che da anni dà la caccia agli ecomostri spera analoga sorte per tutti quegli scempi edilizi ancora in piedi e che, con la loro presenza, continuano a umiliare il Belpaese. Una lista di scheletri che invade intere regioni. Quattro, in particolare, gli scheltroni di cui ora gli ambientalisti aspettano la demolizione, dall’albergo di Alimuri a Vico Equense, in uno dei tratti più suggestivi della costiera napoletana, alle palazzine di Lido Rossello a Realmonte, in provincia di Agrigento, dalla Palafitta a Falerna, in provincia di Catanzaro, al villaggio di Torre Mileto a Lesina, in provincia di Foggia.
Queste, per gli ambientalisti della Legambiente le priorità, ma nella lista ce ne sono molti altri. “L’abbattimento dello scheletrone di Palmaria è il felice epilogo di una battaglia che abbiamo avviato con Goletta Verde circa vent’anni fa. Oggi a Portovenere è un bel giorno per il paesaggio e la legalità”. Così Sebastiano Venneri, vicepresidente nazionale di Legambiente, presente a Portovenere insieme a una nutrita delegazione di Legambiente, commenta la demolizione.

Ma Legambiente non si accontenta di aver vinto una battaglia ed esorta le istituzioni a proseguire le opere di demolizione di altri ecomostri che sfregiano il paesaggio italiano. “Quello di Palmaria -continua Venneri- era uno degli ecomostri che avevamo messo in una lista prioritaria ma esistono ancora molti altri scempi più o meno grandi che deturpano le coste del Belpaese. A partire dagli altri quattro incriminati numero uno”.
 E in un dossier Legambiente fa una selezione degli ecomostri doc, per alcuni dei quali l’ordine di demolizione risale addirittura a decine di anni fa, ma che sono ancora tutti al loro posto. Come la Palafitta nel mare di Falerna, in Calabria o le centinaia di abusi a ridosso dell’Area marina protetta di Capo Rizzuto e dell’area Archeologica di Capo Colonna. E ancora. Gli ecomostri di Fiuzzi a Praia a Mare, i cinque piani sullo scoglio a Fiordo di Furore, le 140 costruzioni abusive a Ischia, l’ecomostro di Portosole a Sanremo, il villaggio Vip di Acque Chiare ad Apani, l’ecomostro di Alliste  a Lecce. Ma la lista è lunga.
Solo sulla costa calabrese che va da Crotone a Isola di Capo Rizzuto, dove si trova una delle aree marine protette più belle del Mediterraneo, si incontra infatti uno dei tratti che sono stati negli anni tra i più violentati dalla piaga dell’abusivismo edilizio. Nel 1999 un censimento realizzato dalla Capitaneria di Porto di Crotone contò 75 costruzioni illegali. Alcuni anni dopo, con l’operazione Isola Felice, la questura di Crotone mise i sigilli a centinaia di case abusive. Si tratta, riferisce Legambiente “in gran parte degli immobili sequestrati, tra cui ville di notevoli dimensioni e valore, risulterebbe di proprietà di persone affiliate alla cosca degli Arena, mentre gli altri apparterrebbero a esponenti di clan diversi. Le indagini hanno portato alla denuncia di 250 persone”. Ma niente sembra fermare il mattone abusivo.

Nel 2004 un nuovo censimento rileva, sempre tra costa ed entroterra di quest’area calabrese, oltre 800 immobili fuori legge. Stante l’inerzia delle amministrazioni locali, la Procura della Repubblica di Crotone ha preso in mano la situazione e, lo scorso giugno, ha firmato il contratto con una ditta di demolizioni per abbattere i primi 18 manufatti”. Ma da allora tutto tace. E la mappa dell’abusivismo edilizio si allarga per molte altre regioni italiane. E la mappa si estende.

C’è l’enclave tabarkina dell’isola di Sant’Antioco, gli scheletri della Scala dei Turchi, le ville della ‘collina del disonorè di Pizzo Sella, l’hotel Summit di Gaeta, l’ecomostro di Procchio a Marciana Marina, Isola d’Elba, lo spalmatoio di Giannutri. Sono solo alcuni degli scempi segnalati nel dossier di Legambiente. Costruzioni, sottolinea Legambiente, “a volte completamente abusivi, altre solo parzialmente, altre ancora perfettamente in regola con la legge, rappresentano, sempre, uno sfregio al paesaggio. Un modo di costruire in barba alle norme urbanistiche, alla civiltà e al rispetto del territorio”. E dalla Calabria alla Campania, anche Ischia è invasa dal cemento.
È recentissima la pronuncia della Corte costituzionale che ha ritenuto infondato il ricorso fatto dal giudice monocratico Angelo Di Salvo contro l’abbattimento di 140 costruzioni nell’isola verde. “Giova aggiungere -sottolinea la Legambiente nel suo dossier ‘Tutti giù per terrà- che le case abusive di Ischia non sono affatto il frutto di quello che viene spesso fatto passare per ‘abusivismo di necessita”, quanto piuttosto di una speculazione immobiliare irrispettosa di ogni regola già in atto da tempo”. Fortunatamente c’è chi sta sempre dalla parte della legge, cosicchè nell’isola le ruspe si sono già messe in moto.

“È l’alba del 30 marzo scorso -riferisce l’associazione ambientalista- quando parte la prima demolizione. Via Terone 52, località Schiappone, un primo piano costruito nel 1998 di 120 metri quadrati, per complessivi 350 metri cubi di calcestruzzo: inizia da qui il ritorno alla legalità nell’ isola”. In totale sono circa 1.000 le demolizioni di abusi edilizi che l’ufficio del procuratore aggiunto, Aldo De Chiara, ha in calendario sull’isola di Ischia ed alcune decine anche a Procida. “I sindaci dei comuni di Ischia che dicono di non avere i soldi per gli abbattimenti non sono in buona fede” attacca il magistrato nel dossier di Legambiente.


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