Volontariato

Sangue sano in aria sana. Ecco il futuro dell’Avis

Andrea Tieghi lascia la presidenza. Un bilancio

di Giuseppe Frangi

Nuovo statuto, nuova legge: per l’associazione che raccoglie 1 milione 150mila donatori, sono stati anni importanti. Dopo due mandati il presidente passa la mano. E delinea il futuro: «Sedi con il fotovoltaico. Flotta di auto al metano. Tutte sfide che c’entrano
con la nostra mission»
L’ultima soddisfazione Andrea Tieghi se l’è tolta in occasione del terremoto in Abruzzo. Ecco la sua puntigliosa cronologia: «Alle 8 del mattino il centro nazionale aveva già monitorato il bisogno e diramato la richiesta ai centri regionali che sappiamo avere scorte elevate. Le esigenze erano 200 sacche “zero negativo”. Le sacche sono state fatte convogliare su Bologna per un ulteriore controllo. Il pomeriggio erano a L’Aquila». Merito di un sistema che il presidente dell’Avis, con il lavoro di due mandati, ha contribuito in maniera decisa e appassionata a far crescere e mettere a punto. Partendo da un principio “non negoziabile”: gratuità del sangue, che non è proprietà di nessuno ma è bene comune. A cui si sono aggiunti efficienza, coordinamento, rapporto nuovo con i donatori. Ora Tieghi lascia il timone della grande associazione che raccoglie 2 milioni di donazioni all’anno e ha raggiunto il record di 1,150 milioni di soci, cardine di un sistema a cui tutto il mondo guarda come a un modello. «Il 14 giugno per la Giornata mondiale del sangue siamo stati invitati a Melbourne perché vogliono capire meglio come funziona».
Vita: Non era così 7 anni fa quando iniziò la sua presidenza..
Andrea Tieghi: Sì. C’erano molti problemi sul tappeto. Alcuni anche interni. C’era una spaccatura, che si è riflessa nel dibattito sul nuovo statuto. Una parte dell’associazione voleva la forma di associazione di volontariato, e un’altra invece voleva quella di promozione sociale. Mancava la legge di riforma, ed era un ritardo grave perché nel frattempo era stato modificato il titolo II della Costituzione, assegnando un ruolo centrale alle Regioni in materia sanitaria. Per fortuna nel 2003 siamo riusciti ad approvare lo Statuto, seppur non all’unanimità. L’anno dopo è stato riconosciuto dal ministero. Nel 2005 è arrivata anche la riforma.
Vita: Una riforma che ha rappresentato un grande traguardo. In che senso?
Tieghi: È stata la conferma del ruolo che il volontariato ricopre nel sistema sangue e che si è concretizzata nel nuovo Centro nazionale sangue, una vera cabina di regia in cui noi siamo presenti con una rappresentanza dei donatori: ne abbiamo ottenuti tre, come quelli delle Regioni. Un grande lavoro di lobby! È stato il momento più bello della mia presidenza.
Vita: La gratuità del sangue è il principio cardine. Difficile da difendere in una società votata al “mercatismo”?
Tieghi: Sì, arrivano minacce da ogni parte. Ad esempio, il Consiglio d’Europa, che aveva avocato a sé tutta la questione sulla donazione, ha poi delegato il sangue alle commissioni che si occupano di farmaci: per loro è un prodotto, trattato come una medicina. La cosa anche in Italia poteva assumere dei riflessi pericolosi perché le industrie premevano per avere spazio, come accade per esempio in Austria e Germania, per raccogliere plasma.
Vita: Ora lei lascia. Come si immagina il futuro dell’Avis?
Tieghi: Penso che non ci si debba più concepire solo come associazione di donatori. «Per questo abbiamo insistito tanto in questi anni sui bilanci sociali: un invito a mettersi in goco. Le faccio un esempio: la scorsa settimana ho inaugurato la nuova sede di Piacenza che è energeticamente autonoma grazie ai pannelli solari. Pensi che novità rappresenterebbe una scelta così a livello nazionale. La stessa cosa vale per nostre flotte auto. Dico sempre ai miei: «Non possiamo dare salute ai citttadini, con il sangue buono che garantiamo, e poi avvelenare l’aria con le schifezze dei nostri scarichi». In questa linea ho insistito per siglare un protocollo con Coldiretti.
Vita: E che relazione c’è?
Tieghi: È la stessa questione che mi hanno sollevato tanti miei dirigenti. Ho risposto con tre buoni motivi: primo, ci alleiamo con un’associazione di 1,2 milioni di iscritti; secondo, sposiamo la loro idea di salute alimentare e di filiera corta; terzo, aiutiamo la cultura dell’alimentazione degli italiani, che così saranno dei donatori più sani e migliori.


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