Sostenibilità

Cave e cemento, un business intoccabile?

di Redazione

Circa 375 milioni di tonnellate di sabbia, ghiaia e pietrisco vengono ogni anno cavate in Italia. A questi si aggiungono circa altri 320 milioni di tonnellate di argilla, calcare, gessi, marmi. La gran parte del materiale viene utilizzata nel campo dell’edilizia. Questo complesso sistema di estrazione ha trasformato parti del nostro territorio in un vero e proprio gruviera: secondo Legambiente oltre 5.700 sono le cave in esercizio, oltre 10mila quelle dismesse e abbandonate. Il tutto regolamentato da norme in buona parte risalenti al 1927 e con competenze di controllo e verifica rimesse alle Regioni dal 1977. Regioni che certo non hanno brillato nel dimostrare efficienza e puntualità nella gestione di un settore così cruciale e delicato. Prova ne sia che la metà delle Regioni italiane non ha un Piano cave operativo.
Il nostro Paese si distingue in Europa (secondo solo alla Spagna) anche per la produzione di cemento. Nel 2007 si sono prodotte oltre 47,5 milioni di tonnellate di cemento, con una flessione di 0,3 milioni di tonnellate rispetto all’anno precedente; insomma, un settore che in un periodo economico non facile è in sostanziale tenuta. Quasi il 70% del cemento viene destinato all’edilizia, prevalentemente a quella residenziale.
Il settore delle costruzioni non è sostenuto da una reale necessità edificatoria (almeno non nei termini a cui assistiamo), ma dalla necessità di tutto il comparto edile di automantenersi, quindi dagli interessi economici enormi che sono dietro le attività sia di cava ed estrazione, sia di produzione di cemento. Nel Paese delle seconde case ci si deve oggi domandare quale sia e dove stia l’interesse pubblico del costruire. Certo c’è un problema abitativo che riguarda le fasce economiche sociali. Esiste poi un interesse pubblico a non perdere posti di lavoro: se il mantenimento di queste imprese va a scapito di interessi comuni come l’ambiente e il territorio, allora il soggetto pubblico deve governare un processo (anche a medio o lungo termine) di riconversione del settore. Atti, dichiarazioni, delibere, scelte amministrative sembrano invece vadano in tutt’altra direzione.

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