Formazione
Kosovo, nessun dorma
Laura Boldrini,portavoce dell Acnur (lAlto commissariato Onu per i rifugiati), coordina a Pristina gli aiuti a un popolo vittima della prepotenza serba.
Le parole non bastano mai quando si deve raccontare una tragedia senza fine, come quella del Kosovo, dove una comunità internazionale miope, incapace di arrestare (in tutti i sensi) il leader serbo Slobodan Milosevic, permette che i Balcani continuino a macchiarsi di sangue. Così come è difficile trovare le parole giuste per circoscrivere l?orrore, quando i racconti dei rifugiati non sono più solo figure immaginarie di popolazioni ammassate in tendopoli, o pigiate in una casa, senza viveri e medicine, ma diventano prova inconfutabile della beffa del destino e della crudeltà della storia.
Come la storia di una giovane donna, albanese del Kosovo, in fuga dal suo villaggio. Scappava dai cecchini serbi che potevano essere ovunque sulle colline. Sapeva che bisognava camminare in silenzio per raggiungere i monti e nascondersi. Ma il suo bambino, che teneva in grembo, non ne voleva sapere e continuava a piangere. La giovane madre ha avuto paura e ha cominciato a stringere la mano sulla bocca del piccolo, per farlo star zitto. Stringeva per consolarlo e anche per esorcizzare la paura. Finché il silenzio è calato nella radura; si sentiva solo il rumore felpato dei passi dei suoi compagni, che come lei cercavano rifugio, un posto sicuro dove i serbi non sarebbero arrivati a incendiare le case. Solo allora la donna si è accorta che aveva soffocato il suo unico figlio. Per salvarlo dai cecchini.
Questa storia ce l?ha raccontata Laura Boldrini, portavoce italiano dell?Acnur (l?Alto commissariato Onu per i rifugiati), che dopo aver lavorato in Bosnia con il Pam, Programma alimentare delle Nazioni Unite, ora si è trasferita in Kosovo, a Pristina. Qui sta cercando di portare i convogli umanitari nei boschi, dove 50 mila sfollati non hanno neppure un tetto, e nei villaggi dove altri 150 mila albanesi vivono ammassati come sardine nelle case rimaste in piedi. Laura Boldrini sa che odore e che aspetto ha la guerra: lo stesso odore e lo stesso aspetto che aveva in Bosnia ora lo ritrova in Kosovo, frutto – qui come là – dello stesso astio e della stessa feroce spregiudicatezza dell?ideologo della ?grande Serbia?.
Popolazioni sradicate dalle proprie comunità; odio instillato goccia a goccia come in una tortura cinese; la comunità internazionale che non sa o non vuole fare niente; i Paesi donatori che brillano per la loro assenza. Tutto questo è il dramma del Kosovo. Da Pristina, Laura Boldrini ha la voce rotta dalla stanchezza: «Ho trovato gente esausta, terrorizzata dal futuro e dall?inverno che sta per giungere; ho visto gruppi di quaranta persone pigiate in stanze piene di buchi nei muri. Sono fuggiti di villaggio in villaggio, di casa in casa, da una campagna all?altra. Ho trovato mille difficoltà a portare i convogli perché la situazione cambia in continuazione. Ora ci hanno detto che ci sono stati bombardamenti a est e non possiamo più uscire con i convogli».
Le guerre si assomigliano tutte, allora? «Nei Balcani forse, perché la matrice è sempre quella, le pretese egemoniche serbe. Certo le storie di violenza e di intimidazione sono tragicamente uguali. Un?altra signora mi ha raccontato di suo figlio: era venuto a portarla via dal villaggio, ma lei non voleva lasciare la sua terra. Mentre discutevano, un cecchino l?ha ucciso, proprio sotto i suoi occhi».
La notte dorme, signora Boldrini, o le sue missioni umanitarie in Irak, Afghanistan, Albania, Turkmenistan, l?hanno abituata alla violenza e alla guerra? «No, sono distrutta. La notte non riesco a dormire, non riesco cancellare il ricordo del terrore sui visi dei kosovari, i pianti infiniti, gli abbracci. Certo sono scossa, faccio fatica a inghiottire i racconti che ascolto, le cose che vedo lasciano tracce profonde. Ma se per questo, non dimentico neanche la pesante eredità della guerra in Bosnia: 400 mila profughi di cui solo 1800 rimpatriati! Ora l?Acnur ha fatto un appello per raccogliere 54 milioni di dollari per la missione in Kosovo, e ne abbiamo raccolti 22. Ma senza una vera tregua sarà impossibile assistere tanti sfollati, o restaurare le case dove sono ammassati gli sfollati, così come è impossibile rintracciare le persone sparse nei boschi».
L?Acnur può lavorare grazie alla rete di associazioni locali e ong americane ed europee presenti in Kosovo. Come l?associazione locale Madre Teresa che conta su 600 volontari per distribuire i viveri nei luoghi più remoti e registrare i problemi socio-sanitari. Sono albanesi, anzi kosovari: conoscono la loro gente, hanno imparato a conoscere anche i serbi. Sanno come arrivare dove non possono arrivare le organizzazioni internazionali. Ma a Pristina lavorano anche i volontari dell?Ics-Consorzio italiano solidarietà, che nella capitale hanno aperto otto centri per bambini e anziani, profughi serbi della Krajina, e da maggio anche per i profughi kosovari. Per cancellare gli orrori della guerra, offrono a tutti corsi di educazione, arte, letteratura, sport. L?Ics è l?unica ong italiana presente da tre anni a Pristina, ha un ufficio a Belgrado e a Nis, sempre in Serbia, ed è partner dell?Acnur, nei Balcani. Alessandro Pieroni, volontario Ics, continua a fare la staffetta fra l?indifferenza italiana e la disperazione kosovara. E anche ora che il balletto degli ultimatum Nato non si è ancora concluso, è tornato in prima linea. Il suo diario di viaggio è pieno di annotazioni, emozioni di gioia ma anche amarezza. «Siamo qui da tre anni, da quando cioè l?offensiva croata in Krajina ha costretto i serbi a lasciare le loro case. Abbiamo dato vita a laboratori d?arte, piccole biblioteche autogestite, attività ricreative ed educative. Cerchiamo di togliere i bambini dall?isolamento psicologico in cui li ha gettati il conflitto, e di dare assistenza agli anziani che vivono in condizioni drammatiche. Da tre anni seguiamo i serbi della Krajina perché sono emarginati, non hanno niente in comune con i serbi di Belgrado: sradicati dalle loro comunità, vivono in Kosovo emarginati, non sono mai riusciti a inserirsi nella società, non hanno lavoro, sono degli ostaggi».
Come gli sfollati kosovari? «Certo, vivono lo stesso dramma. Da maggio sono arrivati a Pristina i kosovari cacciati dai loro villaggi. Le loro case sono state incendiate, ma a differenza dei profughi serbi loro possono contare sul sodalizio dei clan familiari». Ora che il conflitto non è più sotterraneo, che la realtà è sotto i riflettori internazionali, il diario di viaggio di Alessandro Pieroni non parla di guerra civile. Perché? «Perché a Pristina, nonostante l?astio che si respira, la tensione che si taglia col coltello, non ci sono mai stati gravi episodi di intolleranza. E poi qui non sono mai state tirate in ballo le differenze religiose. I serbi sono ortodossi e i kosovari sono musulmani, anche se abbastanza laici, eppure non è ancora successo niente. Ciò significa che c?è ancora spazio per la pace e siamo ancora in tempo. Si può e si deve impedire un?altra Bosnia».
Ma se la pace terrà e se la polizia serba rispetterà l?accordo Holbrooke-Milosevic, se le avvisaglie di nuovi bombardamenti non si ripetereranno, allora arriveranno nuovi volontari che stanno solo aspettando la scadenza dell?ultimo termine dell?ultimatum della Nato, il 27 ottobre, per andare a offrire aiuto, assistenza. Sono pronti i volontari del Cesvi che andranno in Kosovo per aiutare profughi e sfollati a passare l?inverno, così come sono pronti i volontari della comunità Papa Giovanni XXIII e sono pronti gli operatori dell?Intersos. Fedeli al loro mandato di pace e di speranza.
Come aiutarli
ICS – Consorzio italiano
solidarietà, ccp 10234169, causale
emergenza Kosovo. Tel. 010/2468099
Intersos, ccp 87702007, causale
emergenza Kosovo. Tel. 06/4466710
Cesvi, ccp 324244, causale
emergenza freddo Kosovo. Tel.035/243990
Acnur, ccp 298000, intestato Alto
commissariato Onu per i rifugiati.
Tel. 06/8079085
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