Economia

Moda e motori: la Cina ha stregato gli africani

Viaggio in Benin nelle strade di Cotonou

di Redazione

Il gigante cinese ormai sta occupando anche i mercati dei beni di largo consumo e dei mezzi di trasporto.
E così oggi come mai prima anche la gente si sente vicina a Pechino. Tanto che perfino le modelle hanno gli occhi a mandorla. L’Europa? Sempre più assente
Conquistare l’avversario senza combattere. Da anni la Cina sta occupando l’Africa senza eserciti né fucili ma con contratti miliardari per infrastrutture e materie prime ed un’ondata di tanti piccoli oggetti di largo consumo: dentifrici, microonde, computer, lampade, giocattoli, vestiti. È una sottile strategia che da un lato risponde al crescente bisogno cinese di materie prime e di sbocchi commerciali per l’industria manifatturiera e, dall’altro lato, offre ad una fascia sempre maggiore di africani soluzioni a basso costo. È in questo modo che la Tigre asiatica sta comprando fasce intere della società africana, dalla classe politica alla gente comune. Gli scambi tra Cina e Africa sono passati dai 40 miliardi di dollari del 2005 ai 107 del 2008. Questi numeri parlano di “nuovo colonialismo” come della soddisfazione di una madre di poter cambiare gli abiti dei propri figli ogni giorno grazie alle t-shirt cinesi.
Un televisore prodotto in Cina costa tra gli 80mila franchi Cfa (123 euro) e i 130mila, la concorrenza europea non propone nulla sotto i 170mila Cfa fino ad arrivare a un milione 100mila Cfa. Uno stipendio medio in una città come Cotonou, in Benin, si aggira intorno ai 60mila Cfa. Frigoriferi e condizionatori d’aria nelle città, piatti, pentole e stoviglie nelle campagne. È l’insieme di questi piccoli “privilegi” che determina la struttura delle importazioni cinesi in Africa: 45% di beni di consumo di ogni tipo e 31% di mezzi di trasporto. Calano abbigliamento e calzature, dopo aver messo in ginocchio l’industria tessile di diversi Paesi tra cui il Sud Africa. La nuova frontiera ora è rappresentata dal settore medico e farmaceutico. Tante sono le farmacie che vendono prodotti tradizionali cinesi. La società cinese Holley Share punta a fornire contro la malaria 300 milioni di dosi a base di Artemisina ogni anno. Cliniche mediche cinesi rivolte ad una clientela popolare stanno vedendo la luce in molte città africane.
Un primo segnale del largo consenso che gravita intorno alla Cina lo si è colto durante il seminario internazionale organizzato dall’Idee – Institute Développement et d’Echanges Endogènes di Ouidah in Benin, una fondazione guidata dal sociologo beninese Honorat Aguessy. Nelle parole dei delegati africani è emersa tutta la fiducia, attenta ma convinta, nei confronti dell’Impero di mezzo, come partner affidabile e come contropotere economico al monopolio occidentale. Fiducia confermata dalle testimonianze raccolte per strada: qui la Cina è una potenza amica, il Davide del Sud che ha sconfitto il Golia del Nord, un Paese in via di sviluppo dalla parte dei Paesi in via di sviluppo. Anche l’estetica sta cambiando, nel “catalogo” davanti alle parrucchiere si trovano i primi tratti asiatici ed in un negozio di scarpe il poster di una modella cinese. Segno che nell’immaginario collettivo la Tigre asiatica non è più solo ricca ma diventa anche bella. Almeno per ora. E se noi europei guardiamo questo fenomeno con angoscia e timore, c’è sempre qualcuno che ci chiede perché noi potevamo innamorarci di quegli Stati Uniti che si presentavano, negli anni 60, con frigoriferi e capelli cotonati e gli africani non dovrebbero avere il nostro stesso diritto.


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