Famiglia

shar’ia e democrazia in Iran vanno a braccetto

Teheran alle urne un mese dopo l'impiccagione di Delara Derabi

di Redazione

Il giorno dopo l’esecuzione della pittrice è nata la Coalizione del movimento delle donne iraniane. Che parteciperà alla campagna elettorale con il sostegno del premio Nobel Ebadi. Una coincidenza specchio
di un Paese in cui convivono due anime, inconciliabili sulla carta Delara Derabi è stata impiccata all’alba del primo maggio scorso, all’età di 23 anni, nella città di Rasht, nel Nord dell’Iran. L’ultimo periodo in carcere l’ha passato dipingendo, cercando con l’arte di redimersi dalla colpa commessa quando ne aveva 17, di aver ucciso, assieme al fidanzato di allora, una cugina del padre. La pressione internazionale e il fatto che il caso di Delara sia divenuto mondiale, girando anche sui social network più popolari come Facebook, non è servito a nulla per evitare alla giovane donna la condanna a morte.
C’è però un aspetto importante da considerare in merito all’esecuzione. Delara non è stata condannata da giudici che a priori hanno applicato una rigida e severissima legge shariatica; l’applicazione della shar’ia infatti varia di caso in caso, e, nello specifico, lo spiraglio per la giovane era rappresentato dalla possibilità di ottenere il perdono da parte dei parenti della vittima, che avrebbero dovuto accettare un “prezzo del sangue”, una somma cospicua di denaro versata come risarcimento del delitto.
Un perdono che non è mai arrivato. Ora, è chiaro che quando si parla di shar’ia, non si tratta di un’immutabile istituzione che sovrasta gli individui come una sorta di divinità, ma, piuttosto, come una della svariate sfaccettature ed espressioni di una cultura, di una morale condivisa, di una società insomma. Si tratta, nel caso iraniano, di una società dilaniata dalle contraddizioni e tormentata da un dilemma vecchio ormai più di cento anni: quello che tiene il Paese in bilico tra la disperata ricerca di una propria morale che si esprime attraverso la religione e l’imposizione della religione, e quello dell’ormai intrapreso cammino verso la modernità, lo sforzo per la democratizzazione e l’emancipazione sul modello occidentale.
Se da un lato l’Iran al bivio condanna a morte i minorenni, dall’altro infatti annuncia, proprio il giorno seguente l’esecuzione di Delara, la nascita della “Coalizione del movimento delle donne iraniane per esporre le richieste delle donne alle elezioni presidenziali” che vanta la presenza delle maggiori attiviste iraniane per i diritti umani, tra cui il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi e altre esponenti di rilievo del movimento femminista iraniano quali Simin Behbahani, Azam Taleghan e Shahla Lahiji. Queste donne notevoli, prodotto dell’Iran moderno, saranno presenti alle elezioni perché «hanno precise richieste da esporre al futuro Presidente», che sarà eletto il 12 giugno.
Lo scopo di questa coalizione è quello di indebolire il binomio “governo-maschilismo” a favore di una più equilibrata riconsiderazione di un potere politico “aperto” al genere femminile, e che rispetti le libertà dell’individuo e i diritti umani; più volte nel testo si leggono parole quali “democrazia”, “libertà”, aspirazioni cui il Paese anela, almeno idealmente, da più di cinquant’anni ormai. In attesa del cambiamento che porteranno le prossime elezioni, il dilemma rimane, e la nazione oscilla così tra grandi aspirazioni ed ideali democratici e brutali atti di violenza, echi di vendette ancestrali.


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