Famiglia
Coop a misura di famiglia
I dati del governo mettono in luce un terzo settore all'avanguardia
Tra i progetti di conciliazione vita-lavoro presentati dalle imprese, uno su tre arriva dal privato sociale. Un trend
che è un vero record. E che è in continua crescita
Sono i corpi più piccoli della costellazione economica italiana. A malapena raggiungono lo 0,2% del sistema produttivo del Paese: 7.363 cooperative sociali, per l’esattezza, su un totale di 4,3 milioni di imprese. Quando si parla, però, di iniziative per raccordare le esigenze della famiglia e del lavoro si muovono come dei piccoli soli. Un progetto di conciliazione su tre, infatti, è presentato dal privato sociale. Il dato, sorprendente, emerge da un monitoraggio elaborato per SocialJob dal ministero del Lavoro (competente fino al 2006) e dal dipartimento per le Politiche per la famiglia, la struttura che cura l’attuazione dell’articolo 9 della 53/2000. Si tratta della norma della legge Turco che ha introdotto le misure a sostegno della flessibilità dell’orario di lavoro negli enti, sia pubblici che privati. Interventi come, ad esempio, il part time, i corsi di formazione, il telelavoro, la banca delle ore o la ludoteca aziendale. Progetti sostenuti da contributi statali che il dipartimento per la Famiglia assegna periodicamente dopo aver emanato degli avvisi pubblici (in media tre all’anno). Dai dati relativi alle ultime scadenze emerge che il privato sociale registra una crescita significativa della percentuale di progetti presentati. Passa, infatti, dal 17,6% del periodo 2001-2006 al 27,2% del biennio 2007-2008. Quasi il doppio. Numeri confermati anche dall’importo dei contributi erogati. Le sovvenzioni alle cooperative sociali, pur attestandosi in entrambi i periodi intorno a 3,9 milioni di euro, salgono infatti da poco meno del 18% a quasi il 32% del totale delle somme assegnate. Più contenuto, invece, l’incremento delle iniziative ammesse: dal 29% della gestione ministero del Lavoro al 32% di quella del dipartimento per la Famiglia. Un terzo, dunque, dei progetti finanziati.
Ma che cosa c’è dietro il balzo delle cooperative? «Credo ci sia non solo l’attività di comunicazione svolta dalla nostra struttura ma anche una maggiore sensibilità delle cooperative verso i temi della conciliazione. Le imprese sociali hanno nel dna l’attenzione al benessere dei lavoratori che, spesso, sono anche soci», spiega Francesca Pelaia, dirigente del dipartimento che fa capo al sottosegretario Carlo Giovanardi. Una sensibilità che nasce anche da alcune peculiarità degli ambiti di intervento. Le cooperative, infatti, operano in settori dei servizi come gli asili o l’assistenza agli anziani in cui è più facile toccare con mano le difficoltà della conciliazione vita-lavoro. Più alta (83,1%) rispetto alle aziende profit (67,7%) anche la quota di donne destinatarie degli interventi sulla conciliazione. Nelle ultime quattro scadenze, nelle cooperative sono state 795 su 957 dipendenti coinvolti. Le imprese sociali, inoltre, si contraddistinguono anche per una buona capacità progettuale. Se si analizza infatti il rapporto fra progetti presentati e finanziati (delle sole cooperative) si rileva una percentuale di ammissione più alta. Nell’ultimo biennio, ad esempio, i progetti sull’orario flessibile (lettera a) promossi sono stati 23 su 30. Pari al 76% contro il 63% raccolto dalle aziende profit. Le cooperative, insomma, da sempre impegnate nella partecipazione ai bandi europei, nazionali e regionali, sembrano avere maggiore dimestichezza con i progetti rispetto al privato commerciale. Un gap che il dipartimento punta a superare.
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