Non profit

Scopriamo l’orgoglio d’essere europei

L'editoriale di Riccardo Bonacina sulla posizione tenuta dall'Europa rispetto alla crisi irachena.

di Riccardo Bonacina

Chissa se, tra qualche settimana, potremo dire con una punta d’orgoglio: “Siamo tutti europei”. Chissà se, com’é stato giustamente fatto il 12 settembre 2001 quando abbiamo urlato: “Siamo tutti americani”, potremo alzare cartelli con la scritta “Siamo, davvero, tutti europei”? Si tratta di una speranza, di un’aspirazione, lo sappiamo, ma non ci vogliamo rinunciare, enunciarla é già un modo per darle corpo, futuro.
Cosa diranno i Paesi europei in Consiglio di Sicurezza dell’Onu quando gli ispettori presenteranno il loro rapporto sull’Iraq? Cosa diranno i premier dei Paesi dell’Unione agli impazienti americani già schierati in forze (150mila uomini) nel Golfo? Come risponderanno a Colin Powell che ha dichiarato “Gli Usa sono pronti ad agire anche da soli contro l’Iraq e per la sicurezza del mondo”? Per ora é chiaro, addirittura lampante, come la pensino i popoli europei: secondo i sondaggi, nei Paesi dell’Unione l’80% dei cittadini é contro la guerra all’Iraq. Ma confortanti sono anche i segni che ci vengono da chi ci governa. Deciso é il no alla guerra di Chirac, che ha dichiarato: “Se gli Usa decidono d’intervenire da soli, saremo costretti a constatare che ciò avverrà ai margini della comunità internazionale”. Senza ambiguità anche il no di Schroeder e di Prodi; concordi sulla necessità che sia l’Onu l’ambito di soluzione della crisi sono anche Berlusconi e, a giorni alterni, persino Blair.
Decine e decine sono le prese di posizione di uomini di cultura, artisti e uomini di Chiesa. Significativa la risposta del presidente della Conferenza episcopale italiana agli editorialisti che avevano accusato il Papa di pacifismo unilaterale e antiamericano.«La Chiesa», ha ricordato Ruini «guarda al mondo intero senza alcuna parzialità. Non si estrania dunque dall?Occidente, ma lo aiuta a esprimere il meglio di sé, a conferma del fatto che il cristianesimo costituisce la sua anima più profonda e più capace di futuro».
Ecco, l?Europa pare oggi esprimere uno sguardo più capace di futuro quando ricorda in tutti i consessi le ragioni del suo ?no?.
Proviamo a riassumerle:
a) Niente oggi giustifica un?azione militare contro l?Iraq. L?Iraq è oggi un Paese più povero e meno armato di quanto era nel 1991; è un Paese provato da 10 anni d?embargo e ogni giorno subisce bombardamenti alle sue postazioni militari; Saddam è lo stesso tiranno di 10 anni fa, solo un po? più vecchio e, forse, solo.
b) Non c?è ragione per scegliere la peggiore soluzione, ovvero l?intervento militare, anche se si nutrissero sospetti su armamenti segreti e pericolosissimi. L?Europa perciò chiede più tempo e più mezzi per il lavoro degli ispettori, e indica la via della cooperazione per favorire l?apertura del Paese.
c) La decisione di andare in guerra senza il sostegno del Consiglio di sicurezza, ammonisce l?Unione, rappresenterà una vittoria per chi crede che la legge del più forte sia l?unica legge possibile. Perciò la crisi irachena sarà un banco di prova per la soluzione di altre crisi, Medio Oriente e Corea del Nord, se si affermasse la guerra come via per la soluzione dei contrasti internazionali ci troveremo presto in una situazione senza via d?uscita. Occorre il coraggio di perseguire la via del multilateralismo e degli organismi internazionali come promotori e garanti dell?ordine mondiale.
d) Infine, gli europei avvertono come un intervento militare contro il regime di Bagdad comporti rischi imprevedibili per la stessa lotta globale al terrorismo.
C?è una posizione più ragionevole di quella che abbiamo provato a riassumere? È la posizione che l?Europa, la stragrande maggioranza dei suoi cittadini e la maggioranza dei suoi governanti, sta esprimendo in queste convulse giornate. Una posizione che già ci può far dire: «Siamo tutti europei».

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