Economia

INFLUENZA. Coldiretti, uno su dieci rinuncia al maiale

L'influenza messicana ha generato una psicosi nei consumi, ingiustificata secondo Coldiretti che ha fatto una consultazione online

di Redazione

Uno su dieci ha rinunciato a portare la carne di maiale in tavola per effetto di una ingiustificata psicosi nei consumi generata dalla nuova influenza messicana. È quanto è emerso dalla consultazione on line sul sito www.coldiretti.it realizzata per verificare la reazione degli italiani all’emergenza.
Si tratta di un dato preoccupante anche se – ha sottolineato la Coldiretti – una stragrande maggioranza del 72 per cento non ha mutato le abitudini e continua a consumare regolarmente carne di maiale e addirittura il 12 per cento ha aumentato gli acquisti domestici, cogliendo l’opportunità di gustare un ottimo prodotto a buon prezzo. A questi numeri si aggiunge un 8 per cento che per scelta, religione o gusto non mangiano carne di maiale.
Con 37 chilogrammi per persona consumati ogni anno tra carne suina fresca e salumi è la preferita dagli italiani e non c’è alcun ragione scientifica per non continuare ad acquistarla come hanno chiarito i responsabili dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e lo stesso ministero della Salute italiano.

Per colpa della mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della carne, il sistema produttivo nazionale ha perso migliaia di posti di lavoro con danni per 2,5 miliardi di euro in occasione delle recenti emergenze sanitarie, con perdite stimate di 2 miliardi per la mucca pazza (2001) e di mezzo miliardo per il pollame con l’aviaria (2005) ha denunciato il presidente della Coldiretti Sergio Marini alla Convention “Stop a inganni e speculazioni. Nasce la filiera agricola tutta italiana”.
L’esperienza delle crisi del passato ha dimostrato – ha continuato Marini – che la trasparenza dell’informazione e la rintracciabilità in etichetta è il miglior modo per garantire i consumatori ed evitare la psicosi nei consumi che mette a rischio le oltre 5mila stalle italiane che alimentano una filiera che dà lavoro a oltre centomila lavoratori e sviluppa al consumo un fatturato di circa 20 miliardi. Vanno quindi adottate – ha concluso Marini – le misure già sperimentate con successo nel caso dell’influenza aviaria a partire dall’obbligo di indicare la provenienza sulle etichette della carne di maiale al pari di quanto è stato già fatto per quella di pollo e per quella bovina rispettivamente dopo le emergenze aviaria e mucca pazza.


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