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Barack, 100 giorni alla Reagan

Analogie sorprendenti con un predecessore rivale

di Fabrizio Tonello

Un tono conciliante ma assolutamente radicale per smantellare le eredità ricevute. Obama segue la Ronald strategy La scadenza dei primi 100 giorni di governo è un appuntamento artificioso ma serve per fare il punto sullo stile di governo dei nuovi presidenti e permette di capire alcune cose sul resto del loro mandato. Per esempio, Ronald Reagan entrò in carica battendo ampiamente un avversario impopolare (Jimmy Carter, come George W. Bush, godeva della fiducia di appena un terzo degli americani alla vigilia delle elezioni) e riuscì rapidamente a infondere un senso di fiducia nei cittadini. Obama ha fatto lo stesso, proiettando un’immagine di calma e di determinazione che è stata premiata con l’approvazione del 67% degli americani.
I sondaggi valgono quello che valgono ma a Washington sono presi come oro colato dai deputati e dai senatori a cui il presidente deve rivolgersi per attuare il suo programma: un presidente popolare riesce a convincere anche i suoi avversari politici, un presidente impopolare sarà snobbato dal suo stesso partito. Reagan intimidì un Congresso a maggioranza democratica costringendolo a votare il suo programma di aumento delle spese militari e di tagli fiscali per i più ricchi, Obama è riuscito a varare il suo piano di stimoli all’economia per ben 787 miliardi di dollari con l’aiuto di quattro senatori repubblicani che hanno votato, insieme ai democratici, il pacchetto di lavori pubblici e riduzioni fiscali per i redditi più bassi.

Ribaltamento con calma
Benché su fronti politici opposti, Reagan e Obama sono abbastanza simili nel modo di comunicare col pubblico: entrambi sono calmi, rassicuranti e nello stesso tempo determinati. Sia il presidente più amato dai repubblicani che la nuova stella dei democratici sono riusciti a far apparire come puro buonsenso le loro proposte, che in entrambi i casi si allontanavano parecchio dalle dottrine prevalenti. Reagan usava un tono conciliante ma era assolutamente radicale nel voler smantellare gran parte dell’eredità di Roosevelt nella spesa sociale. Obama è altrettanto sincero nel voler estendere alla maggioranza degli americani quelle garanzie di assistenza sanitaria pubblica che fino ad oggi sono mancate.
Obama passa il traguardo dei 100 giorni con alcuni successi legislativi, con una maggiore fiducia nell’economia, con la cancellazione di alcuni degli obbrobri dell’amministrazione Bush. Gli atti simbolici fatti fin dalle prime 24 ore in carica, come l’annuncio della chiusura entro un anno di Guantanamo, hanno dato la sensazione che le sue promesse elettorali non fossero chiacchiere al vento: la presentazione di un budget decennale che contiene impegni su tutti i fronti, dalle energie rinnovabili agli investimenti nella scuola e nel trasporto collettivo, ha stupito gli osservatori di Washington per la sua audacia.

Miliardi alle banche
Restano, tuttavia, molte incognite. Per quanto riguarda le banche, Obama si è affidato a una squadra di consiglieri, in particolare Lawrence Summers, direttamente responsabili negli anni 90 dell’esplosione non regolamentata di strumenti finanziari che poi si sono rivelati tossici. Il loro approccio al salvataggio del sistema bancario – gettarci dentro centinaia di miliardi di dollari senza chiedere nulla in cambio – è stato aspramente criticato da due premi Nobel per l’economia che pure simpatizzano per la nuova amministrazione, Joseph Stiglitz e Paul Krugman. Se il timore di un collasso immediato del sistema finanziario sembra fugato, non è chiaro quanto le prospettive di ripresa dell’economia americana siano rapide.
Obama ha annunciato grandi piani di sviluppo delle energie alternative per ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dall’importazione di petrolio e per limitare le emissioni di gas che aggravano l’effetto serra. Su questo fronte, però, si ritroverà a combattere non solo le lobby dell’industria ma anche una forte resistenza in Senato, dove l’opposizione può più facilmente bloccare i progetti di legge e dove lo stesso partito democratico non sembra così compatto. Il sistema di compravendita di “permessi di inquinare” a cui pensa l’amministrazione sarà poi facilmente stravolto dalle lobby, come è già avvenuto in Europa, dove la sua adozione qualche anno fa non ha condotto ad alcuna riduzione delle emissioni.
Infine, Obama vorrebbe diminuire il bilancio militare ma le industrie degli armamenti si batteranno contro qualunque taglio e faranno pesare la minaccia di una perdita di posti di lavoro nel mezzo della recessione. Le missioni all’estero, in Iraq e in Afghanistan difficilmente potranno offrire risparmi significativi senza svolte politiche radicali che, per il momento, non sono all’ordine del giorno.
Se, quindi, Obama ha passato il test fallito nel 1993 da Bill Clinton (che infilò un fiasco dopo l’altro all’inizio del suo mandato, indebolendo la sua presidenza fin dagli inizi) qualsiasi previsione sui risultati che riuscirà a raggiungere nei prossimi mesi ha oggi la stessa affidabilità delle previsioni metereologiche a lunga scadenza: zero.

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