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Protezione civile, il modello è quello giusto

Gregorio Arena: «Il successo in Abruzzo? Questione di sussidiarietà»

di Maurizio Regosa

Il presidente di Labsus promuove a pieni voti l’organizzazione di Bertolaso. «Efficiente perché ha rotto il vecchio schema dell’amministrazione pubblica» «La Protezione civile nella circostanza del terremoto è stata molto efficiente perché usa un modello organizzativo diverso da quello tradizionale secondo cui l’amministrazione si occupa del bene pubblico e i cittadini sono passivi», spiega Gregorio Arena, ordinario di Diritto amministrativo e presidente di Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà. Arena lancia anche un’idea: «Perché non proviamo ad applicare questo modello anche quando non ci sono emergenze?»
Vita: Buona idea. Ma sulle emergenze è facile fare mobilitazione.
Gregorio Arena: Invece io credo nella forza di coinvolgimento di questa idea nuova, l’amministrazione condivisa fondata sulla sussidiarietà. Insieme i cittadini e l’amministrazione si occupano dell’interesse pubblico.
Vita: La Protezione civile ha però una struttura di comando molto gerarchica.
Arena: È vero. Ma nei cittadini c’è la disponibilità a mobilitarsi. Il problema è che l’amministrazione continua a ritenere che non spetti a loro farlo. Quindi anche quando, come nelle emergenze, è indispensabile coinvolgere i cittadini, utilizzarne le risorse e le competenze, lo si fa rimanendo in una prospettiva che affida all’amministrazione il monopolio dell’interesse pubblico. Ragion per cui si dice ai volontari: «muovetevi nell’ambito delle direttive dell’amministrazione». In altri termini sono considerati come alleati eventuali, non ancora come alleati strutturali.
Vita: Invece cosa dovrebbe accadere?
Arena: La protezione civile dovrebbe dire: «Sediamoci attorno a un tavolo con i responsabili delle associazioni di volontariato e insieme decidiamo come organizzarci».
Vita: Come ottenere questo cambiamento?
Arena: La cultura delle persone è cambiata profondamente ma non ce ne siamo accorti. Pensi al fumo nei locali pubblici. Per anni ristoratori e baristi si sono opposti tenacemente a tutti i tentativi di vietarlo. Poi è diventato normale vedere la gente che fuma fuori. Ed era un fatto culturale molto radicato. Il cambiamento è avvenuto nel giro di pochissimo. Voglio dire che la cultura dell’amministrazione cambia più lentamente di quella dei singoli individui, però cambia perché i fatti la costringono a modificarsi. Oggi dei cittadini c’è bisogno per realizzare l’interesse pubblico. Anche fuori delle emergenze. Dunque ciascun assessore, ciascun sindaco deve sapere che ha bisogno dei cittadini. E regolarsi di conseguenza. La cultura cambia facendo cose, non facendo corsi di formazione.
Vita: Nel caso del fumo però c’è stato bisogno di una legge…
Arena: Sì, ha colto un cambiamento nella cultura della società italiana e gli ha dato legittimità giuridica. Ugualmente c’è la diffusa percezione che i cittadini possano essere soggetti attivi. È nell’amministrazione pubblica che ancora manca. Però le leggi ci sono: c’è un principio costituzionale, la norma recente del decreto anticrisi nel passaggio sui microprogetti.
Vita: Se dovesse elaborare istruzioni per l’uso per una ricostruzione condivisa cosa farebbe?
Arena: Qui si pone un problema a monte: la scelta condivisa dei luoghi, degli insediamenti, del come ricostruire. L’emergenza ci costringe a renderci conto dei limiti del nostro sistema istituzionale, in particolare della democrazia partecipativa. Il meccanismo per cui ciascun cittadino delega la sua sovranità a qualcuno che poi governa per suo conto, funziona bene nell’ordinaria amministrazione. In questo caso è diverso. Gli amministratori locali non sono stati eletti per simili decisioni e per questo la scelta deve essere condivisa.
Vita: Non c’è il rischio che i veti incrociati producano immobilismo?
Arena: C’è un problema di trasparenza, di circolazione e condivisione delle informazioni in base alle quali si deciderà. I mezzi di comunicazione di massa qui hanno un ruolo fondamentale: devono fare in modo che si sappia il più possibile. Però torniamo al punto di prima: la cultura cambia perché i fatti costringono a cambiare i comportamenti.
Vita: In Parlamento c’è una proposta di legge Pdl per bloccare i ricorsi al Tar. Una norma anti nimby in sostanza?
Arena: Occorre bilanciare l’interesse generale, che chiede certe infrastrutture, e quello particolare di chi vivendo su un dato territorio da quelle strutture riceve più danno che vantaggio. Come Labsus stiamo lavorando su un progetto di ricerca di interesse nazionale sulla democrazia deliberativa e partecipativa. La mia impressione è che se i cittadini vengono coinvolti, la conflittualità si riduce notevolmente. Vicenza è un caso esemplare. Una città tranquilla e benestante all’improvviso scende in piazza. Perché? Perché i cittadini vogliono essere ascoltati. Le persone ormai sanno che non basta votare per partecipare.


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