Non profit

FEBBRE SUINA. Slow Food, rivedere metodi di allevamento

«Oltre all'allevamento, un altro aspetto su cui porre massima attenzione è il trasporto», scrive l'organizzazione

di Gabriella Meroni

«A causa della recente epidemia di febbre suina che sta colpendo anche gli esseri umani, l’eccessivo allarmismo può indurre il consumatore a eliminare totalmente dalle proprie tavole la carne di maiale.Meglio dunque ribadire alcune importanti precisazioni: il Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, come del resto tutti gli esperti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono concordi nel dire che il virus H1N1, responsabile dell’epidemia in Messico, non si trasmette consumando carne di maiale. Ciò significa che la trasmissione della malattia non avviene per via alimentare, ma attraverso il contagio tra esseri viventi». E’ quanto scrive in una nota Slow Food Italia.

«Certo il problema esiste e questa nuova epidemia, dopo la sindrome della mucca pazza e l’aviaria, tira in ballo di nuovo la questione del benessere dell’animale» sottolinea Silvio Barbero, segretario nazionale di Slow Food Italia. «Molti studiosi sospettano uno stretto legame tra il metodo di allevamento industriale, dove gli animali vivono ammassati l’uno contro l’altro in condizioni che poco hanno a che fare con la vita naturale, e la febbre suina. Sembra molto probabile infatti che il contagio, ma soprattutto la mutazione dei virus siano più facili dove vi sia una grande concentrazione di animali come puòavvenire negli allevamenti industriali, dove gli esemplari sono sottoposti a stress e a continui trattamenti terapeutici, per cui si generano le condizioni migliori per la trasformazione dell’agente virale». Oltre all’allevamento, un altro aspetto su cui porre massima attenzione è il trasporto animale, visto che il contagio avviene quando il suino infetto è vivo. Per questo motivo i controlli e i monitoraggi del Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria devono essere più che mai precisi e accurati.


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