Welfare

Date voce alle nostre sofferenze

Ecco concludersi l'antologia di lettere ricevute da Adriano Sofri,detenuto a Pisa,da diverse carceri d'Italia

di Cristina Giudici

Si conclude questa settimana la nostra antologia di lettere ricevute da Adriano Sofri, detenuto a Pisa, da diverse carceri d?Italia. Le altre puntate sono state pubblicate sui numeri 42 e 43 di Vita. Sono la mamma della ragazza che si è suicidata nel maggio del ?97 nel carcere di Pisa con il gas. Le scrivo per associarmi a lei per tutto quello che si vuole fare sulla pessima condizione delle carceri. Mia figlia, Margherita Frisina, non poteva stare in cella da sola, anche se lei non voleva disturbare nessuno. Il carcere non era adatto a lei per il suo problema psicologico e purtroppo nessuno cercò di fare qualcosa. Questi giovani, che hanno avuto la sventura di essere caduti nel tunnel della droga sono abbandonati a loro stessi. A mia figlia è stato rifiutato tutto, anche se mia figlia aveva bisogno di essere guardata giorno e notte perché i tentati suicidi si ripetevano spesso. Ormai per lei non posso più fare nulla, solo piangere giorno e notte per averla persa a soli 24 anni, ma si deve lottare per tutti questi giovani che sono nelle stesse condizioni di mia figlia perché non si ripetano più questi episodi. Quando andavo a colloquio mia figlia mi ripeteva sempre: «Mamma sento delle voci, portami via da qui, perché sennò esco con la bara». Ho lottato con tutte le mie forze, ma le mie parole non sono mai state ascoltate. Dio sa di chi è la colpa. Io li maledico e li disprezzo perché mia figlia veniva trattata da delinquente e invece aveva bisogno d?aiuto. Francesca Costanzo Sono un detenuto del carcere di Secondigliano e vorrei che qualcuno urlasse questi nostri soprusi: qui ci umiliano, ci picchiano e calpestano i nostri sentimenti. Quando non c’è nessuno in stanza entrano e scrutano (non so se nel codice penitenziario è previsto questo articolo, però io sapevo che possono entrare solo in caso di perquisizione). Ci fanno rapporto e perdiamo premi e telefonate. Sono loro che ti dicono quando devi tagliarti i capelli o le unghie; quando devi tenere la maglia dentro i pantaloni; ti ordinano di camminare sotto al muro e durante la ?conta? (il conteggio dei detenuti al momento del rientro in cella – ndr), ti mettono spalle al muro, mani dietro. Il nostro istruttore pretende queste cose, picchia come un pazzo frenetico assieme ai suoi collaboratori. Ai colloqui non si può portare l’orologio e nemmeno una caramella per il proprio figlio. Siamo come i somali, veniamo torturati da uomini con le divise. Spero che riesca ad avere questa missiva perché il mittente è falso, temo rappresaglie. Qui non ci torturano con fili elettrici, ma con calci e pugni. Il nostro rammarico è quello di non avere la voce per gridare queste angherie. Mi sentirei onorato se un giorno questa mia missiva sarà presa in considerazione dalle autorità competenti e dal popolo che non sa come veniamo trattati. Lettera firmata


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