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SALUTE MENTALE. Rimini: prove di dialogo fra Paesi, Ong, Oms
Si è concluso il meeting internazionale organizzato dall'associazione Cittadinaza a cui hanno partecipato i rappresentanti di 11 Paesi
di Redazione
Quattro giorni di confronto e riflessione sul tema della salute mentale nei paesi in via di sviluppo, ma anche di progetti concreti, buone pratiche, discussioni animate e nascita di nuove collaborazioni, con l’obiettivo di portare cura e assistenza alle persone con disabilità psichiche che nel mondo non hanno accesso a servizi sanitari adeguati e spesso sono costrette a vivere nell’isolamento e in condizioni disumane. Si è chiusa oggi la II edizione del meeting internazionale “Rafforzare i sistemi di salute mentale nei paesi a basso e medio reddito”, che ha portato a Rimini le autorità sanitarie e politiche di 11 Paesi, tutto il quartier generale del dipartimento di Salute mentale dell’Organizzazione mondiale della sanità e i rappresentanti di organizzazioni non governative e di agenzie sanitarie italiane e internazionali.
Organizzato dall’associazione riminese Cittadinanza in collaborazione con l’Oms, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna e con il patrocinio del ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, il meeting ha offerto ai rappresentanti politici e sanitari degli 11 Paesi ospiti (Etiopia, Filippine, Georgia, Giordania, regione indiana di Assam, Iraq, Kirghizistan, Somalia, Tanzania, Uzbekistan e Vietnam) l’opportunità di incontrarsi, scambiarsi esperienze e confrontarsi con esperti internazionali in merito all’organizzazione di servizi di salute mentale efficaci e rispettosi dei diritti dei malati.
Diffondere cure e assistenza in tutte le 18 province del Paese è per esempio l’obiettivo del progetto presentato a Rimini dalle autorità sanitarie dell’Iraq. La soluzione è integrare la salute mentale nei servizi sanitari di base, dotando ogni presidio territoriale di personale specializzato che possa non solo fornire cure, ma anche avviare un percorso di educazione alla salute mentale rivolto alle comunità locali. Il progetto iracheno di “collaborative care” è tra quelli che hanno riscosso maggiore attenzione tra i partecipanti del meeting internazionale. «Il confronto con gli altri paesi, le ong e gli esperti dell’Oms», dice Nezar Ismet Taib Abdullah, direttore del Centro di salute mentale di Duhok, nella regione irachena del Kurdistan, «ci è stato utile per definire alcuni passaggi del nostro progetto, in particolare su quale ruolo debba avere il ministero della Salute, come e su quali patologie formare il personale sanitario, come coordinare al meglio i servizi di base con quelli di salute mentale». Il progetto, che partirà inizialmente in tre province per poi essere esteso entro due anni a tutto l’Iraq, prevede la formazione di 120 dottori e altrettanti infermieri e la creazione di 90 unità di salute mentale all’interno dei servizi territoriali di base.
«Il modello dell’integrazione è quello più efficace e con il miglior rapporto tra costi e benefici», spiega la psichiatra Lucia Gonzo, direttrice scientifica di Cittadinanza. «Permette di assistere più persone, portando le cure vicino a chi ne ha bisogno, e garantisce ai malati di conservare i legami familiari e quelli sociali. Non basta però formare medici e infermieri specializzati», aggiunge. «Occorre creare un sistema di supervisione, in modo da assicurare qualità e continuità degli interventi».
Un suggerimento alle autorità irachene e degli altri paesi presenti a Rimini arriva da Antonio Lora, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica e consulente del dipartimento di Salute mentale dell’Oms: «La formazione di personale specializzato è utile per fronteggiare le situazioni di emergenza, ma non tanto per sopperire alla carenza di servizi di salute mentale. La formazione di base sulla salute mentale deve partire nelle scuole e proseguire all’università, in modo da avere subito dottori e infermieri preparati».
Il meeting è stato utile anche per dare avvio a nuove possibili cooperazioni internazionali tra paesi e ong. «Abbiamo avuto la possibilità di interagire con una ong come Handicap International», dice Duong Vuong Anh del ministero della Salute del Vietnam. «Ci sono sembrati molto interessati al nostro progetto per la salute mentale di bambini e adolescenti. Speriamo che si aggiungano altri partner perché abbiamo bisogno di finanziatori». Contatti sono stati stretti anche tra Irish Aid (l’agenzia governativa irlandese per la cooperazione) e i rappresentanti di Etiopia e Somaliland, mentre l’ong olandese HealthNet TPO ha manifestato interesse per il progetto presentato dalla Somalia. «Se c’è un Paese che ha bisogno di risorse, questo è proprio la Somalia», dice Khalid Saheed, rappresentante dell’Ufficio regionale del Mediterraneo orientale dell’Oms. «Se verranno raccolti finanziamenti aggiuntivi, il progetto somalo per liberare dalle catene i disabili psichici potrà essere esteso anche al Somaliland».
Soddisfazione per l’esito del meeting anche da Gulmira Ibraeva del ministero della Salute del Kirghizistan: «Dopo questo incontro e con il supporto costante dell’Oms posso esercitare con ancora più consapevolezza la mia influenza per incrementare l’attenzione verso la salute mentale da parte del mio governo».
«Far cooperare paesi e ong a volte è più complicato di quanto possa sembrare», avverte Benedetto Saraceno, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Oms. «Le ong devono imparare a mettersi d’accordo ed evitare inutili competizioni per accedere ai fondi umanitari internazionali. Bisogna anche superare le tensioni che si vengono a creare sui mandati relativi ai progetti di cooperazione: da una parte i paesi devono ammettere di avere anche dei punti di debolezza e delle necessità, dall’altra le ong devono riconoscere che spetta ai Paesi decidere quali progetti realizzare e come». Come è possibile superare queste tensioni? «Riconoscendo che non esiste un torto e una ragione, andando oltre gli steccati che dividono. Paesi e ong devono imparare a dialogare e confrontarsi. Queste quattro giornate hanno dimostrato che è possibile», spiega Saraceno.
«Il meeting è stato creato per combattere due debolezze fondamentali della cooperazione internazionale», termina Maurizio Focchi, presidente di Cittadinanza: «la difficoltà a lavorare insieme di Paesi, ong e agenzie dell’Onu e il fatto che spesso i progetti sono elaborati da organismi esterni ai governi dei Paesi in cui si opera. In questi giorni abbiamo visto interloquire i diversi soggetti della cooperazione intorno a progetti creati dagli stessi Paesi. Per questo, il meeting segna la vittoria di una sfida importante».
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