Non profit
Ecco la ricetta dell’Onu
A Bruxelles Onu, Ua, Unione europea e Lega Araba discutono di sicurezza e aiuti umanitari in Somalia
«Quel che non ha fatto la carestia forse lo farà la pirateria». È il commento che Vita.it ha raccolto da un diplomatico di lungo corso, che chiede di non essere citato, sulla conferenza per gli aiuti alla Somalia che si svolge oggi a Bruxelles. L’Onu spera di ottenere 200 milioni di aiuti per il Paese del Corno D’Africa – dove la metà della popolazione, ma questo lo si sa da un bel po’ di tempo, è colpita dalla crisi alimentare – e la Commissione europea ha già promesso 60 milioni. Insomma, sulla Somalia si riaccendono i riflettori.
La pirateria? «Si combatte partendo dalla terra», non dal mare, ha detto qualche giorno fa Hillary Clinton. Il segretario di Stato americano ha annunciato un piano in quattro punti per combattere i predoni del mare che prevede innanzitutto di rafforzare la cooperazione internazionale, di garantire la liberazione degli ostaggi e delle navi ancora in mano ai predoni, di congelare gli asset dei pirati e di favorire una maggiore stabilità e buon governo in Somalia. Oggi a Bruxelles Nazioni Unite, Unione africana, Lega araba e Unione europea cercheranno di definire modalità utili per sostenere il Paese del Corno d’Africa e risolvere la questione della sicurezza al largo delle sue coste. La conferenza, ha appreso Vita.it da fonti diplomatiche, sta discutendo attorno a due obiettivi specifici: il rafforzamento di una unità di sicurezza somala che integri le forze del governo e delle corti islamiche e il rafforzamento di Amisom, la missione di peacekeeping dell’Unione africana che dovrebbe favorire la stabilità in Somalia ma che finora non ha ottenuto i mezzi necessari per farlo.
Sulla conferenza e sulla prevenzione della pirateria Vita.it ha intervistato Sandro Calvani, a capo delll’Unicri, l’istituto dell’Onu preposto alla prevenzione del crimine e alla giustizia che sta coordinando un programma internazionale anti-pirateria in collaborazione con partner istituzionali e privati (tra cui compagnie assicurative, armatori e aziende oltre ai governi e alle istituzioni internazionali).
È vero che la pirateria si combatte partendo dalla terra?
Piuttosto che combattere noi dell’Unicri preferiamo prevenire. Non c’è dubbio che la pirateria è il sintomo di promblemi che partono dall’entroterra, ed è alimentata dall’assenza di legalità che si riscontra in alcune zone del mondo. Non solo, è anche la reazione a crimini perpetrati da altri attori.
In che senso vale per la Somalia?
Lo scarico di rifiuti tossici nelle acque Somale e la pesca illegale che penalizza i pescatori delle coste somale sono dei crimini, perpetrati da altri attori rispetto ai pirati, che alimenta un clima di illegalità. Non bisogna dimenticare che i primi gruppi di pirati si ritenevano una sorta di “guardia costiera” per contrastare i crimini illegali ai danni della popolazione locale.
I tre pirati uccisi dal blitz che ha liberato il comandante della nave americana Maersk Alabama avevano tra i 15 e i 17 anni. La pirateria somala è composta da semplici pescatori o da organizzazioni criminali spietate e tecnologicamente avanzate?
Probabilmente da entrambi. È una miscela, un fenomeno complesso che affonda le sue radici nel supporto della popolazione somala rimasta senza prospettive e che poi si è evoluto in un business fiorente.
La volontà di combattere il fenomeno della pirateria ha riacceso i riflettori sulla Somalia?
Non c’è dubbio. E la speranza è che da questa conferenza esca qualcosa di concreto per promuovere stabilità e sviluppo in questo Paese tormentato, che per quindi anni è stato abbandonato all’anarchia istituzionale. È ormai arci dimostrato che in tutti gli scenari di stati falliti sicurezza, sviluppo e diritti umani o si costruiscono tutti e tre insieme o non sono possibili né sostenibili.
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