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Glez, la matita d’Africa che sbeffeggia il mondo

La straordinaria esperienza del vignettista di «Vita»

di Joshua Massarenti

Nel 90 è sbarcato in Burkina Faso come volontario. E ora dalla sgangherata redazione dell’unico foglio satirico locale disegna per grandi testate internazionali Iricercatori d’oro ve lo diranno. Le pepite più preziose si possono nascondere nei luoghi più impensabili, laddove nessuno andrebbe a scavare. In Africa più di ogni altro buco nel mondo. Per trovarle ci vuole molta pazienza. E un pizzico di fortuna. E di fortuna Vita e i suoi lettori ne hanno avuta tanta. È bastata una telefonata, la richiesta di un articolo sul Festival del cinema africano e poi scoprire che l’Africa ci aveva regalato il suo più grande vignettista. Si chiama Damien Glez, in arte semplicemente Glez (www.glez.org). Da tre anni i suoi disegni divorano l’attualità internazionale con una sana, sprezzante e divertente ironia che non risparmia nessuno. «Missili volanti» li avrebbe definiti Voltaire, noto per il suo amore intransigente per la satira. E con la satira Damien ci sa fare. Se ne sono accorti nell’ordine Le Monde, Libération, Le Figaro, Le Courrier International, Jeune Afrique (Francia), ma anche La Tribune de Genève (Svizzera), Dagsavisen Arbeiderbladet (Norvegia), The Philadelphia Inquirer (Stati Uniti). Giornali prestigiosi rimasti come noi abbagliati dal talento puro di un artista protagonista di un’avventura umana straordinaria, iniziata una ventina di anni fa nel cuore dell’Africa occidentale, in Burkina Faso. E che Damien ci ha voluto raccontare durante il nostro incontro a Ouagadougou, nella sede del suo giornale satirico, Journal du Jeudi (meglio noto come JJ), l’organo di stampa più temuto della classe politica burkinabé.
Vita: Che cosa ci fa un francese originario di Nancy dal carattere introverso in una redazione sgangherata di giornalisti e vignettisti africani?
Damien Glez: Ottima domanda! Riassumendo, è la banale coincidenza tra il percorso personale di un volontario francese sbarcato nel 1990 in Burkina per svolgere il suo servizio civile internazionale e la storia dell’Africa.
Vita: Ovvero?
Glez: All’epoca uscivo fresco fresco da cinque anni di studi universitari a Bordeaux. Avevo due alternative: prestare servizio militare oppure farmi spedire in Africa da un’ong cattolica francese. Non ho esitato. La mia fortuna ha un nome: democrazia. Dopo il crollo del Muro di Berlino, la Francia ha costretto i governi africani ad abbracciare il multipartitismo e promuovere la libertà di opinione. Facevo il professore di tedesco in un collegio del mondo rurale burkinabé quando mi sono ritrovato tra le mani il numero zero di un nuovo giornale burkinabé, il Journal du Jeudi, a cui ho subito spedito un disegno satirico.
Vita: Che con altrettanta rapidità è stato pubblicato nel numero successivo…
Glez: Esatto. Finito il servizio civile, mi sono poi trasferito a Ouagadougou per lavorare nella redazione del JJ.
Vita: Perché non tornare in Francia invece?
Glez: Il calore umano dei burkinabé mi ha probabilmente stregato. Credo che sia una questione di feeling.
Vita: Un misto di follia e di talento. A cosa dobbiamo questa passione per il disegno?
Glez: Ho sempre amato disegnare, sin da piccolo. Con un carattere introverso come il mio, la matita era lo strumento più adeguato per esprimermi. E se all’inizio mi ero immerso nel mondo di Asterix, verso i 10-12 anni sono rimasto letteralmente sommerso dalla forza delle caricature di una serie, le Grandes Gueules, diventata molto famosa in Francia e poi nel resto del mondo. Raccontare il mondo attraverso i disegni non ha mai smesso di affascinarmi.
Vita: Un conto è fare satira in un Paese ricco e democratico, ben altra cosa è lanciarsi in un’avventura editoriale confrontata alla dittatura e alla povertà…
Glez: L’inizio non è stato facile. In Burkina, come in molti altri Paesi africani del resto, la cultura della satira era inesistente. Vedere i propri leader politici ridicolizzati sulle pagine di un giornale dal tono irreverente è stato uno shock per tutti. Ma a differenza della popolazione, la classe dirigente non riusciva a digerire le vignette e gli articoli del JJ. C’erano ministri o dirigenti politici che ci chiamavano in lacrime, in altre occasioni eravamo minacciati di morte…
Vita: All’inizio degli anni 90 anche in Africa fioriscono i giornali indipendenti. Da allora pochi sono riusciti a rimanere in piedi. Perché?
Glez: Tra la radio, molto ascoltata in Paesi colpiti da un alto tasso di analfabetismo, la televisione ed internet, per la stampa è vita dura. Tanto più in un’enclave come il Burkina Faso, dove i costi di produzione rimangono altissimi. La chiave del nostro successo risiede nella nostra scelta di aver puntato su una satira alla portata dei burkinabé. Altri giornali satirici non hanno fatto altro che importare dall’Occidente modelli inadatti ai loro lettori. Noi ad esempio abbiamo puntato sulla comicità di parentela, cioè le rivalità scherzose tra etnie o gruppi sociali. E ha funzionato. C’è poi una seconda spiegazione: la morte di Norbert Zongo (giornalista ucciso nel 1998 in circostanze mai definite, ma con chiari sospetti sull’entourage dell’attuale presidente Blaise Campaoré, ndr) ha convinto il potere che per tenersi buona la comunità internazionale è necessario garantire un minimo le regole democratiche, il che ci consente di lavorare con maggiore tranquillità. Addirittura c’è chi, nella classe dirigente, si è convinto che essere disegnato sul JJ sia salutare per la propria carriera politica. Non comparire significherebbe sparire dalla circolazione.


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