Famiglia

Coni, lo sport che non si muove

A cosa serve il grande ente che il 6 maggio vota il presidente

di Redazione

Il Comitato olimpico italiano, dal punto vista dei soldi, non sente la crisi. I finanziamenti pubblici aumentano. Scende solo la percentuale destinata allo sport sociale. Perché domina una concezione da casta…

Acosa serve il Coni? Sulla carta la risposta è semplice: a promuovere la massima diffusione della pratica sportiva in italia. Mettendoci il naso dentro, però, il sospetto è che le finalità istituzionali slittino in secondo piano: a ben guardare il Coni infatti pensa soprattutto a se stesso.

I finanziamenti in aumento
Nel 2009 la crisi, almeno per il Coni, non si farà sentire: i finanziamenti pubblici al comitato olimpico infatti cresceranno fino a 470 milioni di euro. Contro i 450 milioni incassati dal 2002 al 2008. Questo malgrado il governo in un primo momento si fosse impegnato a ridurre lo stanziamento con un taglio di 113 milioni. Poi il dietrofront. Per la felicità del presidente Petrucci e per quello che uscirà dalla tornata elettorale del prossimo 6 maggio (ma i bookmakers danno Petrucci in netto vantaggio sugli sfidanti Franco Chimenti e Paolo Barelli anche nella corsa al quadriennio 2009/2013). Chiunque sia il prossimo timoniere, l’auspicio è che il Coni cambi marcia. Perché fino ad oggi la gestione dell’ente non ha brillato per trasparenza contabile e nemmeno per equilibrio fra risorse investite nello sport di élite e in quello alla portata del comune cittadino. Un capitolo questo che (come si spiega nel box) fra il 2007 e il 2008 si è ridotto del 15%.
Agosto 2002. Il ministro Giulio Tremonti con la legge n.178 istituisce la Coni Servizi., a cui affida l’onere di ripianare i debiti (400 milioni) accumulati fino ad allora. La presidenza della Coni Servizi, società di diritto privato facente capo al ministero dell’Economia, viene però “stranamente” affidata a Gianni Petrucci. Il controllato diventa controllore, e per questa funzione extra percepisce un gettone da 130mila euro. I risultati non sono quelli sperati. A quattro anni dalla fondazione, la Corte dei conti nella relazione sul bilancio Coni 2006 attesta che l’obiettivo del pareggio dei conti «non è stato raggiunto». Questo malgrado alla Coni Servizi fossero stati dirottati 180 dei 450 milioni garanti al Foro Italico dalla Finanziaria. Passa un anno e la musica non cambia. Scrivono ancora i giudici: «Coni Servizi, pur avendo nel 2007 ridotto la posizione debitoria nei confronti degli istituti di credito per 15,940 milioni di euro, ha debiti totali per 194,7 milioni di euro, con un aumento del 2% rispetto all’esercizio precedente». E ancora: «Conserva soprattutto attualità l’osservazione sulle disfunzioni dovute alla promiscuità nell’uso dei beni e risorse, all’incerta separazione di ruoli e di competenze».


2008, bilancio sempre in rosso
E così si arriva al 2008. Il Coni è ancora con l’acqua alla gola. A venire a galla è stavolta un buco da 300 milioni determinato dalla Sportass. L’assicurazione degli sportivi fu istituita nel 1936 per garantire gli atleti dagli infortuni. Negli anni però la difficoltà di verificare la veridicità degli incidenti e i conseguenti contenziosi – durati anni – hanno aperto una voragine da 200 milioni a cui vanno sommati altri 100 milioni. In totale 300 milioni che sono stati assorbiti dall’Inps, con buona pace dei portafogli degli italiani. Nessuno però a chiesto conto dell’ammanco al Coni, che della Sportass era il proprietario.
Sempre nel 2008, precisamente il 24 giugno, i carabinieri dell’Ispettorato del lavoro irrompono nella sede di alcune federazioni sportive denunciando «l’illecita somministrazione di lavoro». A cosa si riferiscono? In sintesi l’Arma accusa le Federazioni di impiegare illecitamente personale pagato da altri, ovvero dal Coni per tramite della Coni Servizi, in contravvenzione agli articoli 21 e 22 della legge Biagi. L’obiettivo del Foro Italico era quello di liberarsi in modo surrettizio di 400 dipendenti. Un piano naufragato grazie alle denunce del Comitato 5 febbraio e alla conversione del decreto n. 207 del 30 dicembre 2008 avvenuta lo scorso 19 febbraio che classifica i lavoratori “inviati” alle dipendenze delle federazioni sportive come lavoratori distaccati e dunque ancora in organico alla Coni Servizi.
Se da un lato dunque la Coni Servizi ha tentato di liberarsi del peso di alcune centinaia di lavoratori, dall’altra non va per il sottile quando si tratta di assumere figli di amici che contano. Flavio Pagnozzi, figlio di Raffaele Pagnozzi, segretario generale del Coni e amministratore delegato di Coni Servizi, viene assunto da Equitalia, società statale che si occupa della riscossione dei tributi, controllata dal ministero dell’Economia. E il Coni assume, destinandolo ai servizi legali, Marco Befera, figlio di Attilio Befera, amministratore delegato di Equitalia. Lo scambio di cortesie non si limita alle assunzioni incrociate, infatti nell’elenco dei componenti del collegio sindacale di Coni Servizi figura anche il nome del commercialista Antonio Mastropasqua, che di Equitalia risulta essere il vicepresidente del consiglio di amministrazione.

La verità di Crimi
Infine l’ultima chicca. Le vittorie olimpiche di questi dieci anni da sempre sono state lo scudo con cui la gestione Petrucci si è riparata dalle critiche. Una barriera che però si fonda su un equivoco di fondo, recentemente svelato proprio dal sottosegretario allo Sport, Rocco Crimi. Ha ricordato Crimi: oltre il 75% delle medaglie olimpiche sono merito degli atleti iscritti ai corpi militari. Atleti a cui il Coni nel bilancio 2008 destina appena 3,1 milioni. Mentre alle federazioni sportive ne vanno oltre 77. Un’altra incongruenza difficile da spiegare.


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