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Durban, il peso delle assenze

Approvato il documento finale. Paolo Pobbiati, presidente della sezione italiana di Amnesty: «La nostra mancanza e quella di altri stati ha lasciato la ribalta ad Ahmadinejad»

di Daniele Biella

Approvato per acclamazione. Nel tardo pomeriggio di oggi  si è trovato un accordo sul documento finale della Conferenza Onu sul razzismo, in corspo a Ginevra in questi giorni. Il testo rimane quello presentato come bozza all’apertura dei lavori (cliccare qui per il testo in inglese), rifiutato  da molti stati, tra cui Germania, Canada, Usa, Israele, e Italia, che non si sono presentati al summit.

E pensare che la Conferenza, nota anche come Durban 2 (che si tiene a otto anni dal il primo storico incontro, nel 2001 a Durban, in Sudafrica, in cui si sono delineate le linee-guida internazionali da seguire nella lotta a ogni tipo di discriminazione), doveva servire a riaggiornare le politiche globali antirazziste. Ma, alla luce delle numerose defezioni della vigilia e del  contestatissimo intervento  del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, il dubbio è se, a questo punto, il documento servirà a qualcosa.

In questo senso, Vita.it ha interpellato Paolo Pobbiati, presidente della sezione italiana di Amnesty international, una delle ong presenti alla stessa conferenza svizzera.

Qual’è la situazione del “giorno dopo Ahmadinejad” a Ginevra?
Bisognerà vedere come si evolve (la conferenza finisce venerdì, ndr). Sicuramente l’idea, dopo la prima giornata, è che rappresenti una grande occasione persa. Il fatto poi che molti paesi abbiano deciso di boicottare la conferenza, come Italia e Stati uniti ma non solo, di fatto ha lasciato la ribalta a un personaggio come il presidente iraniano Ahmadinejad, che sicuramente non ha nulla da insegnare in termini di rispetto di diritti umani e di lotta alla discriminazione e al razzismo, visto quello che succede nel suo paese. Il rischio è che si crea una sorta di contrapposizione tra due blocchi: da una parte i paesi occidentali, dall’altra quelli del Medio oriente, dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina. In queste posizioni contrapposte rimarrebbe così schiacciata l’esigenza della comunità internazionale di cercare strumenti efficaci che portino avanti strategie comuni per combattere uno di quelli che sembra veramente essere uno dei mali principali di questo mondo globalizzato in questo inizio di XXI secolo, ossia il razzismo. O le discriminazioni, la xenofobia.

Si può dire che Durban 2 non abbia già più la sua efficacia originaria?
Non è partita benissimo questa conferenza. Già sulla bozza di dichiarazione che è stata elaborata nei giorni scorsi c’erano stati degli scontri, minacce poi messe in atto di ritiro delle delegazioni. Alla fine è venuto fuori un documento piuttosto annacquato, che sebbene non presenti particolari problematiche rispetto al famoso passaggio della “linea rossa” è un testo che non dice nulla di determinante nella condanna al razzismo.

Nonostante non si sia passata la linea rossa, alla fine la partecipazione dell’Italia, rimasta fino all’ultimo sul filo, è stata negata…

Amnesty international è convinta che invece sarebbe stato più efficace esserci, per riaffermare con forza i principi che invece dovrebbero ispirare una conferenza del genere. In questa maniera si è lasciato il campo libero, appunto, ad Ahmadinejad che, abile com’è nel gestire questo tipo di situazione, ha sfruttato al meglio l’occasione. […] Proprio lui, che ha criminalizzato oltre misura un paese come Israele con affermazioni vergognose, è rappresentante di un paese che applica politiche discriminatorie estremamente gravi, verso minoranze etniche come gli azeri, i curdi, o religiose, come i ba’hai, i cristiani, arrivando poi alle discriminazioni alle donne. Il problema, per questa conferenza, è che alla fine manca un contraddittorio. Manca chi possa riprendere le redini dell’incontro riportandolo sulla vera lotta contro il razzismo.

Chi avrebbe potuto avere questo ruolo?
Molti, in primo luogo i paesi europei. Italia compresa, se ci fosse stata. Così come gli Stati uniti, che con l’ultimo avvicendamento hanno ora come Presidente un nero che, quando è nato, nel suo paese vigevano ancora delle reggi razziali. Doveva esserci, quest’occasione viene così persa, avrebbe potuto invece essere un primo “incanalare” a livello di comunità internazionale delle aspettative, delle speranze che sono seguite alla sua elezione.

Razzismo in Italia. Come può venir letto il “caso Balotelli”?
Il razzismo, fenomeno globale, assume anche nel nostro paese aspetti vergognosi e ingiustificabili, come quello di apostrofare in un modo indegno un giocatore di calcio. È l’espressione di una società che purtroppo sta maturando al suo interno dei germi abbastanza preoccupanti di xenofobia e di razzismo. Non soltanto nei confronti dei calciatori di colore ma spesso anche delle fasce più deboli della società, ad esempio verso minoranze etniche come i rom, oggetto di provvedimenti restrittivi, sgomberi forzati, per essere poi trasferiti in situazioni di addirittura peggior degrado. […] E l’opinione pubblica, i mezzi di informazione, i politici hanno le loro responsabilità, con generalizzazioni che rischiano di criminalizzare tutti, non solo chi commette reati. C’è in atto, nella società italiana, una sorta di corto circuito collettivo.

Per sentire l’intervista integrale a Paolo Pobbiati cliccare in altro a destra, nella sezione
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