In questa settimana di lutto abbiamo voluto interrompere il ritmo naturale delle parole del nostro abbecedario di economia civile, ed esprimere la nostra solidarietà con la città de L’Aquila ricordando un suo cittadino che è tra gli autori classici dell’economia civile, Giacinto Dragonetti, marchese aquilano, il cui palazzo storico è stato tra quelli danneggiati dal terremoto.
Giacinto Dragonetti è l’autore di un piccolo libro, Delle virtù e de’ premi, che associato al più celebre Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, riscosse un significativo successo nell’Europa dei lumi pre rivoluzionaria. Il libro di Dragonetti ebbe, infatti, una grande circolazione nell’Europa del Settecento. Il libro uscì a Napoli anonimo nel 1766. Fu poi pubblicato in francese (1767), in inglese (1769), in tedesco (1769) e in russo (1769). Ho trovato un’edizione spagnola del 1838. Non escludo che ne esistano anche altre edizioni. Dragonetti fu quindi più tradotto del suo maestro Antonio Genovesi e, se si esclude Beccaria, occorre aspettare Pareto nel Novecento perché uno studioso italiano di scienze sociali abbia di nuovo una tale notorietà internazionale.
Di formazione giuridica, Dragonetti era interessato sia all’economia che ai temi giuridici. In gioventù, a poca distanza dalla pubblicazione del libro di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, pubblicò a Napoli quel piccolo libro che voleva essere completamento e sviluppo della tesi di Beccaria. Nell’introduzione del libro si legge: «Gli uomini hanno fatto milioni di leggi per punire i delitti, e non ne hanno stabilita pur una per premiare le virtù». Dragonetti propose una vera e propria legislazione dei premi alle virtù, addirittura un codice delle virtù che si affiancasse al codice penale: «I Legislatori Romani conobbero la necessità delle ricompense, le accennarono, ma non ebbero il coraggio di formarne il codice». E poi aggiunge che «il parlare dunque dei premi alle virtù dovuti non farà opera perduta in questo Secolo, che si crede destinato a rendere la nativa efficacia ai rispettivi diritti degli uomini».
Ovviamente Dragonetti non nega l’importanza delle pene, anzi ne riconosce il ruolo essenziale; crede però che puntare solo sulla punizione dei delitti non sia sufficiente per far avviare il suo Paese su una via di sviluppo civile ed economico. Ma che cos’è la virtù?
Per Dragonetti la virtù è associata alla ricerca diretta e intenzionale del bene pubblico. Quando qualcuno agisce per «l’altrui vantaggio» abbiamo a che fare con le virtù: «Si diede il nome di virtù a tutte le azioni, che riguardavano interesse degli altri, o a quella preferenza del bene altrui sopra il proprio» (p. 7). Le virtù debbono essere premiate: «Essendo la virtù un prodotto non del comando della legge, ma della libera nostra volontà, non ha su di essa la società diritto veruno. La virtù per verun conto non entra nel contratto sociale; e se si lascia senza premio, la società commette un’ingiustizia simile a quella di chi defrauda l’altrui sudore» (pp. 11-12).
Il “premio” dunque è una ricompensa per l’azione che va “oltre” i contratti e le leggi: è una ricompensa ad un atto sostanzialmente di gratuità: «È vero, che tutti i membri dello stato gli debbono i servigi comandati dalle leggi, ma è altresì fuor di dubbio, che i Cittadini debbono esser distinti, e premiati, a proporzione de’ loro servigi gratuiti».
Pagine e idee di grande valore e attualità, che fanno onore alla terra aquilana.
Dragonetti scriveva nei suoi testi la parola “Cittadini” sempre con la maiuscola; mentre scrivevo questa nota pensavo ai tanti abruzzesi (e non solo) che in questi giorni stanno mostrando che quella C maiuscola era quanto mai appropriata, oggi non meno di ieri. Che queste virtù civili, ancora vive in Abruzzo sebbene non sempre adeguatamente riconosciute e premiate, siano il punto di rinascita di quelle nobili terre.
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