Famiglia

Lavorare in gruppo è una necessità

post terremoto

di Redazione

Èun commercialista, Alfonso. È arrivato a L’Aquila il giorno dopo la grande scossa. Verso le 4 di martedì mattina. Con altri 50 volontari della Protezione civile. Collabora alla gestione di un campo che ospita 530 persone. «Sono aggregato al gruppo lucano di protezione civile perché il mio paese, San Giovanni a Piro, è vicino al confine con la Basilicata. È un gruppo molto giovane, nato nel febbraio del 2008, mentre invece quello lucano è nato all’indomani del terremoto nell’Irpinia del 1980». Ha 40 anni, sposato, due figli piccoli. Se gli chiedi cosa serva per fare il volontario, ti risponde che «la buona volontà è importante ma non basta. Certo serve la propensione al sociale. Se non l’avessi non starei qui. Ma pure serve la preparazione». Che è anche attitudine a lavorare insieme. «Noi ci stiamo specializzando per il soccorso in mare, visto che abitiamo in Campania. In altre zone si preparano per il servizio in montagna. Ma in entrambi i casi è necessario saper lavorare in gruppo. Poi, certo, ci sono i vari corsi formativi che ti insegnano come comportarti nelle diverse situazioni. Ad esempio prima del terremoto, stavamo seguendo un corso di primo soccorso. Le lezioni, una dozzina, le fanno di domenica. È dura perché non puoi stare con la tua famiglia ma non puoi farne a meno». La formazione però non è tutto. «Ci sono cose che ci azzeccano con la tua esperienza di vita», spiega Alfonso, «quando siamo arrivati abbiamo trovato persone traumatizzate. E gli abbiamo fatto capire che dovevano reagire».


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