Non profit

Nel triangolo ferito la solidarietà è un’Oasi

Preghiera e impegno sociale nell'Agro vesuviano

di Riccardo Bonacina

Circa 300 coppie di sposi coinvolte, migliaia di giovani impegnati in percorsi di volontariato, un’accoglienza particolarmente rivolta a minori e ragazze madri. Così la Fraternità di Emmaus è diventata un segno concreto di speranza
L’agro vesuviano, un triangolo di territorio racchiuso tra Sarno, Nocera e Agri, è una delle terre più densamente popolate e più devastate d’Europa. La fertilissima terra lavica cantata da Virgilio e Plinio il Vecchio è ormai pressoché invisibile dopo cinquant’anni di edilizia selvaggia e di scempi e ferite ambientali. Le quattro scie della valanga di fango che la notte del 5 maggio 1998 si staccò dalla montagna raggiungendo alla velocità di 300 metri al minuto i comuni di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici provocando la morte di 160 persone e distruggendo centinaia di case, sono ancora oggi visibili e sembrano simboleggiare tutte le ferite di questa terra. Una terra alle prese con la criminalità, con la disoccupazione, con una burocrazia pubblica incapace di qualsiasi risposta, con uno spaesamento culturale di cui il monumento al pomodoro di San Marzano è tristissimo simbolo di un passato che pare non parlare più, neppure sulla tavola.
Ebbene, in questo triangolo ferito, è nata un’esperienza di comunità cristiana i cui frutti paiono essere monasteri del terzo millennio che crescono proprio dove la barbarie sembra essere più visibile: sono le Oasi della Fraternità di Emmaus, un’esperienza riconosciuta dalla Chiesa con decreto definitivo firmato dal vescovo di Nocera Inferiore, Gioacchino Illiano l’8 settembre 2008. Esattamente 18 anni dopo l’inizio della sua storia. Era l’8 settembre del 1990, primo centenario della professione solenne di Santa Teresa di Lisieux: un giovane sacerdote, don Silvio Longobardi, e un gruppo di giovani vanno in pellegrinaggio al vicino santuario di Pompei per affidarsi nelle mani di Maria e per offrire la propria disponibilità. Insomma, come avvertiva un grande poeta, Friedrich Holderlin, «laddove cresce il pericolo, lì cresce anche la salvezza», e la Fraternità di Emmaus è un frutto vivo e sorprendente di questa terra.
Nata come comunità di preghiera, con l’adorazione eucaristica al centro, la fraternità, ci racconta don Longobardi, «ha scoperto presto che l’esperienza di fede spinge ad una testimonianza che abbraccia i bisogni e la dimensione sociale. Preghiera e carità sono le nostre due mani. Questo intreccio, non sempre facile da coniugare, è uno degli aspetti peculiari del nostro carisma e del nostro servizio ecclesiale». Così sono nate le Oasi, cinque in tutto, quattro nel territorio nocerino sarnese e una in Burkina Faso. Intorno alle Oasi è nata un’associazione, Progetto famiglia. Circa 300 coppie di sposi coinvolte e migliaia di giovani e persone raggiunte e impegnate in percorsi di volontariato e servizio alla comunità civile. Una cassa comune per i bisogni di tutti e una comunità di consacrati al centro e un’accoglienza rivolta particolarmente a minori e ragazze madri. Qualche settiimana fa siamo stati ospiti di una di queste Oasi, l’Oasi di Nazaret, sorta intorno alla scelta di Tonino e Giovanna Ciniglio, 5 figlie: Nausicaa, Sara, Chiara, Paola e Cristiana Gioia, e una storia di accoglienza che ha visto sino ad oggi l’ospitalità di 21 madri, 23 bambini e 5 adolescenti in difficoltà. In mezzo a bimbi che giocano, biberon da scaldare e le esigenze della conduzione di una casa complessa, una stanza è dedicata all’adorazione eucaristica. Lì la luce soffusa è sempre accesa e la porta sempre aperta. Segno di una speranza possibile e concreta.


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