Cultura

Napoli, andata e soprattutto ritorno

Una giornalista sociale si racconta

di Redazione

La città oggi non è migliore, non è lucida come una cartolina.
È complicata come sempre. Ma vale sempre la pena Sentivo un odore strano un anno fa, mentre guardavo i limoni smettere di crescere sull’albero del giardino dei miei. Ero in un posto di Marano, paesone attaccato all’ala Nord di Napoli, che qualche joker della toponomastica ha chiamato «Città Giardino» anche se del giardino ha ben poco e della città solo le buche nell’asfalto. Almeno fino al 2008. Perché quell’aprile il vento portava al naso l’olezzo acidulo dell’immondizia.
Ancora mi meravigliavo che fosse arrivata fin lì, a quegli angoli della periferia napoletana talmente senza niente che perfino la spazzatura era un di più fuori posto. Quella mattina di primavera ho deciso di fuggire a Roma.
Non ne potevo più di Napoli. Qualche tempo prima mi ero ribellata a gente come Giorgio Bocca e Jacopo Fo che si erano messi a parlare male della “mia” città, con i loro libri di critica spicciola e i loro snobismi da intellettuali che guardano alla realtà degli altri con la stessa visibilità che dà un binocolino da teatro. Mi ero allineata agli Amici di Beppe Grillo che combattevano per l’acqua gratis e per le lampadine a basso consumo. E da almeno undici anni come giornalista ero nella cosiddetta “prima linea” del sociale. Volontaria alla Caritas, responsabile ufficio stampa all’associazione Il Pioppo, poi al gruppo di imprese sociali Gesco, giornalista di Redattore sociale. Non mi faceva specie vivere nella città del disagio e delle grandi speranze perdute. Forse perché ero stata per due anni a Tirana, e Napoli, al confronto, mi sembrava il paradiso dei colori, del mare, della luce.
Ma Napoli stritolava. Un’ora e mezza, due per spostarsi in pullman da casa al lavoro. Arrivi già stanca. A Gesco c’era il quartier generale del movimento “Il welfare non è un lusso”: manifestazioni, lotte a mezzo stampa, una continua guerriglia sociale contro i ritardi nei pagamenti di Comune e Regione. Giusta, sì, ma a volte, tra le tante piccole battaglie quotidiane, si sognava solo una giornata di pace.
Perciò me ne sono andata. All’ufficio stampa di CSVnet, pensando che il volontariato in fondo mi avrebbe dato un po’ di respiro e Roma tranquillità: un quarto d’ora casa-ufficio, realtà diverse da questo nostro piccolo mondo napoletano.
Ma poi, dopo un anno, sono tornata a Napoli. E non perché Berlusconi ci ha fatto la cortesia di togliere la spazzatura (almeno davanti casa dei miei). Ma perché non si può semplicemente abbandonare il campo se le cose si fanno difficili. Napoli mi mancava. Mi mancava Gesco, e sono tornata alla cooperazione che lotta ogni giorno ma che è comunque tutt’uno con la gente di questa città. Noi non parliamo lingue diverse, non siamo estranei. Certo, arriviamo tardi al lavoro, ma non c’è neanche bisogno di dire perché. La mia città non è migliore, non è lucida come una cartolina. E non importa cosa dice la pubblicità progresso del governo. È complicata come sempre. Ma vale sempre la pena.

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