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L’analisi di un’economista. 10 e lode a Lula. Ma si guardi da amici e nemici

Il presidente ha applicato un principio del capitalismo democratico. Ora i pericoli vengono dai ricchi.

di Marco Vitale

La notizia che il presidente del Brasile, Lula De Silva, nell?avviare la sua politica contro le disuguaglianze sociali, ha identificato tra le misure prioritarie un programma per permettere agli abitanti delle favelas (6,5 milioni censiti) di diventare legittimi proprietari dei terreni e delle abitazioni delle quali hanno il possesso e non la proprietà, è una delle poche buone notizie di questo inizio d?anno, ottusamente cupo. L?ho accolta non solo con l?approvazione della ragione, ma con l?emozione della partecipazione.
Così come, essendo stato tra i primi, se non il primo in Italia, a sottolineare l?importanza del libro dell?economista peruviano De Soto, Il mistero del capitale, e a valorizzare il suo pensiero e le sue scoperte, non posso che rallegrarmi grandemente nel vedere che viene esplicitamente sottolineato un preciso collegamento tra questa politica del presidente Lula e il pensiero di De Soto.
Dare certezza alla proprietà dei milioni di immobili delle favelas e stabilire regole semplici di compravendita, vuol dire innestare un circuito economico virtuoso, basato sul presupposto fondamentale delle economie di mercato: la certezza dei diritti di proprietà e la diffusione della proprietà, a partire dalla diffusione della proprietà della casa.

In linea con Verri e Cattaneo
Sarebbe bello e utile che il presidente Lula sapesse che questo approccio e questo sviluppo non sono per niente nuovi. Limitandoci alla sola esperienza italiana, tutto il pensiero economico dell?illuminismo italiano e sino ai pensatori del primo decollo industriale (da Verri a Cattaneo passando per Romagnosi) ha sempre sostenuto che la certezza dei diritti di proprietà e della persona e la diffusione di questi diritti è ingrediente essenziale dello sviluppo. Verso il 1760, dopo la triste stagione spagnola, si riapre in Lombardia, e segnatamente a Milano, una fervida stagione di pensiero, azione, riforme amministrative che stanno alla base del successivo decollo economico. E tra le prime riforme, quella del catasto per dare certezza alla proprietà; e per seconda una serie di misure per distribuire la proprietà: “si abolirono le mani morte; si rimisero nella libera contrattazione i loro sterminati beni; si alienarono i pascoli comunali” (Carlo Cattaneo).
E nella seconda metà dell?800 questa linea di pensiero e di azione fu perseguita da pensatori e operatori sul filone di Carlo Cattaneo. Certo il presidente Lula non lo sa, ma quello che lui sta facendo è straordinariamente simile a quello che, nei primi dieci anni del 900, un esile pretino di poco sopra i trent?anni faceva, come prosindaco, a Caltagirone (Sicilia). La lotta di Don Sturzo contro gli ?usurpi?, per riportare il diritto nei rapporti proprietari e per la ?quotizzazione?, la distribuzione della grande proprietà pubblica tra i contadini, fu una lotta durissima, ispirata a principi analoghi a quelli che muovono ora il presidente Lula. E sono gli stessi principi delineati nella Rerum Novarum (15 maggio 1891): la proprietà è strumento della personalità e della libertà personale; “debbono per tanto le leggi favorire questo diritto e fare in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari” (vedi ora art. 47 della Costituzione); i lavoratori sono anche risparmiatori e il loro risparmio diventa proprietà quindi capitale (se c?è un diritto che lo protegge, dicono De Soto, Romagnosi, Carlo Cattaneo e tanti altri); ma la proprietà non deve essere troppo concentrata (perché questo è la vera origine della povertà), ed è necessario che l?uomo “la coltivi e le sia largo di provvide cure”.
Quando nel secondo dopoguerra si cercò di impostare lo sviluppo del Mezzogiorno, si incominciò a ipotizzare la fine del latifondo e la distribuzione della proprietà contadina.
L?epicentro fu la Sicilia, terra dominata dal latifondo e dalla cultura feudale. E questa fu l?unica epopea popolare della Sicilia moderna: centinaia di morti, l?alleanza baroni-mafiosi, le forze dell?ordine incapaci di far osservare le leggi, la legge del più forte che domina (“?La legge! La legge! Vi siete fottuti la testa con questa legge. La legge qua l?abbiamo fatta noi, da che mondo è mondo!? Così mi disse un mafioso. È vero” (Giuliana Saladino, Terra di rapina, 1973); e quando perdevano, i ricchi si rifacevano sul terreno giudiziario amministrativo e su quello pratico, cedendo la terra peggiore e in appezzamenti troppo piccoli per rendere.
È da quegli anni che nascono due grandi filoni: l?emigrazione delle persone per bene e la conquista prima di Palermo e poi di buona parte dell?Italia da parte di quei feroci ventenni che, come Liggio, si erano accreditati uccidendo i loro coetanei sindacalisti, come il ventiseienne Rizzotto, segretario della Camera del lavoro di Corleone, ucciso da Liggio e sepolto in una delle foibe di Rocca Busambra.

Da De Soto a Lula
Se ricordo questi nostri precedenti è per evidenziare tre punti fondamentali:
1. La politica del presidente Lula (e il pensiero di De Soto) non sono fatti nuovi e isolati. Sono fatti che si inquadrano in un filone di pensiero e di azione ben conosciuto; che tante volte è stato sconfitto, ma che è sempre rinato e ha sempre segnato dei, pur lenti e faticosissimi, progressi: il capitalismo democratico o, come la chiamo io, l?economia imprenditoriale basata sul valore e il rispetto della persona, che trova forti sostegni sia in filoni essenziali del pensiero laico liberale che del personalismo cristiano. è solo attraverso l?allargamento della sfera di influenza del capitalismo democratico che si è ampliato, negli ultimi cinquant?anni, il numero di Paesi approdati allo sviluppo. Jacques Paternot e Gabriel Veraldi, nel loro efficacissimo libro Dieu est-il contre l?économie? (1989), ne hanno tratto addirittura un ?Théoreme Bref?: “L?aptitude d?un peuple à se développer est directement proportionnelle à sa capacité de créer des entreprises, agricoles, artisanales, industrielles, de services, et de les gérer sainement dans la durée. Cette capacité est fonction du système éthique et culturel du peuple considéré. Le développement intégral – technique-économique, politique-social, culturel – spirituel – n?est bien assuré que par le développement spécifique et coordonné des trois dimensions du système, que l?on peut appeler capitalisme démocratique et éthique”.
Per questo approccio, la proprietà, la certezza della proprietà, sono presupposto e al tempo stesso fattore essenziale di sviluppo. Come dice De Soto. Ma come dice da tanti anni, in pagine limpidissime, Michael Novak, anche riferite specificamente all?America Latina (a partire dal capitolo ?Una teologia dello sviluppo: l?America Latina?, nel suo primo libro importante in materia, The Spirit of Democratic Capitalism, 1982).
In queste pagine Novak ricorda che, intorno al 1850, l?America Latina e l?America del Nord erano entrambe povere, ma l?America del Nord era più povera dell?America Latina. Per entrambe l?indipendenza era una cosa relativamente nuova. Ma il retaggio spagnolo e della Chiesa cattolica indirizzò l?America Latina verso un sistema di grandi proprietà dove l?impegno dei singoli di costruire e lavorare per il proprio futuro era ridotto dal sistema stesso. Mentre “nel Nord America gli individui, in grande maggioranza divennero proprietari delle loro case e delle loro terre” (Novak).
Il padre di Henry Ford era un povero falegname irlandese, scappato per fame, che nel Michigan poté diventare, in pochi anni, proprietario di una fattoria, disboscando e mettendo a cultura i terreni, sulla base di una concessione pubblica. E come lui migliaia di altri immigrati.
2. Poiché, dunque, sappiamo di che si tratta, conosciamo anche i pericoli, grandissimi, che corre il presidente Lula. Può darsi che le favelas, in quanto tali, non interessino più di tanto i ricchi. Ma questi sono interessati e attentissimi ai principi. Essi sanno che i principi sottostanti la decisione relativa alle favelas, hanno, per loro natura, una capacità espansiva. Perciò la reazione sarà durissima e seguirà le vie classiche: prima che la reazione sul fronte del diritto, comprando i parlamentari e assoldando i migliori giuristi; poi la violenza, come fecero da noi gli agrari del Sud nel 1948; poi le alleanze con le mafie o con movimenti fascisti (come fecero i ?caprari? di Caltagirone che si allearono con il nascente movimento fascista).

Dal Brasile, i rischi maggiori
Ma i pericoli maggiori per Lula sono al suo interno: il rischio di essere attratto negli schemi del terzomondismo socialistoide; il rischio di suscitare nei poveri attese miracolistiche e una stagione di pretese senza doveri, insomma il peronismo; il rischio di vedere rapidamente crescersi intorno una classe di approfittatori e di speculatori; e quindi, corollario inevitabile di tutto ciò, l?inflazione galoppante, con disordini sociali all?interno che legittimi reazioni violente, e disordini valutari all?esterno con l?intervento del Fmi, l?organizzazione più ostile allo sviluppo e all?incivilimento oggi operante sul piano internazionale. Lula, insomma, deve muoversi avendo nel cuore l?entusiasmo e la speranza riflessi nei versi di Buttitta, ma controllando tutto ciò con grande fermezza, e muovendosi come insegna Francis D. Roosvelt, il grande riformatore, che diceva: “se vuoi cambiare qualcosa muoviti con il sorriso, nascondendo dietro la schiena un nodoso bastone”.
3. Tutto il capitalismo democratico mondiale ha interesse che la politica di Lula sia un successo. Un Brasile avviato sulla via di un solido sviluppo, può diventare fattore di stabilità per l?America Latina e per il mondo, cioè per tutti noi. E un Brasile che trovi la via dello sviluppo, aggredendo le sue orrende disuguaglianze sociali, può diventare un punto di riferimento, un esempio, un modello. Il darwinismo economico, con la teorizzazione delle diseguaglianze sociali come fattore di sviluppo, è fallito. La speranza per il futuro si basa su un capitalismo democratico, dove l?economia sia fattore di unione tra le persone e non di lacerazione e dove dalla crisi dell?individuo, egoista, cinico e rampante, emergano le persone che vogliono “to do a good job”.
Se Lula riuscirà a portare il Brasile su questa linea, aiuterà anche noi. Ma la lotta sarà durissima. Per questo dobbiamo fare quello che possiamo per aiutarlo. E boa sorte presidente Lula, tanta boa sorte.

Cidade de Deus. Poveri da Oscar?
Quasi nessun attore professionista, pochi soldi di produzione, poco battage pubblicitario. Eppure Cidade de Deus, la pellicola di Fernando Meirelles (da cui sono tratte le immagini di questo servizio), in Brasile è diventata un fenomeno popolare: il film più visto degli ultimi trent?anni. Sarà per il crudo realismo che propone una delle più note favela di Rio, quella Città di Dio nata negli anni 70 quando i tecnocrati di Brasilia si misero in testa di sradicare le grandi baraccopoli, radendole al suolo. Con il risultato che i migliaia di disperati che le popolavano si spostarono appena più lontano dalla cerchia urbana. Ispirato all?omonimo libro di Paulo Lins, il film racconta il quotidiano della cittadella dell?emarginazione: gioia, amore, dolore, rabbia e soprattutto violenza. Tanta, tantissima violenza che gli ha guadagnato anche la decisa critica di alcuni intellettuali, come l?antropologa Alba Zaluar che accusa il regista di aver messo in scena tutti gli stereotipi della povertà. La rappresentazione realistica della criminalità è invece costata a Meirelles l?accusa di compiacimento e di estetizzazione del sangue e della morte. “Quelle immagini sono un buco nella coscienza nazionale”, lo ha difeso un altro regista, Arnold Jabor. Intanto Cidade de Deus è stato scelto dalla Academy Awards per far parte del gruppo di film candidati all?Oscar per la migliore pellicola straniera. Info:
Cidade de Deus

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