Famiglia

NO war Saddam

Oltre alla guerra, c’è un’altra emergenza nell’agenda della società civile internazionale. In più un commento di Franco Cardini.

di Carlotta Jesi

Ha scritto Adriano Sofri, uno che certo non sposa le ragioni di questa guerra, che chi chiede la pace deve avere il coraggio di dire il suo ?no? anche al regime di Saddam. Davvero in questi mesi, tra tante manifestazioni, riuscite e tante prese di posizioni intelligenti e ragionevoli, è mancata la capacità di condannare il raìs iracheno? Vita ha raccolto la provocazione di Sofri e l?ha girata ad alcuni esponenti di organizzazioni non governative in prima linea nella sacrosanta ?guerra alla guerra?. Nessuno si è tirato indietro. Ognuno ha tirato fuori dal cassetto le ipotesi umanitarie o politiche alle quali sta lavorando. I lettori potranno constatarlo leggendo queste pagine. Ma c?è un?altra cosa che è doveroso dire. Che questa non è una guerra contro un sanguinario despota che calpesta i diritti umani del suo popolo. Questa è una guerra per il controllo della risorsa energetica che sola permette agli Stati Uniti di mantenere un tenore di vita ?non negoziabile? (lo disse Bush padre). È una guerra preventiva, motivata soltanto da un presunto rischio terroristico che Saddam costituirebbe. I diritti umani sono l?ultima delle preoccupazioni dei tanti foschi propagandisti di questa guerra: il Papa ben lo ha capito e questo spiega la sua fermezza nel prendere le distanze da Bush. Quanto ai diritti umani, piuttosto, è un?altra la domanda che sarebbe giusto porre al mondo dei guerrafondai: chi in questi anni ha fatto qualcosa per non far cadere nel dimenticatoio il dramma del popolo iracheno? Chi ha tenuto in vita una rete di solidarietà? È stata anche solo una goccia nel mare immenso dei problemi causati dalla politica di Saddam e da un embargo che molti non esitano a definire ?omicida?. Ma è la dimostrazione che se c?è qualcuno che non si è dimenticato in questi anni di Saddam è stato proprio il popolo che oggi grida per la pace. Marco Bertotto Inviamo osservatori, ma sui diritti umani Diciamo ?no? a Saddam Hussein da anni. Abbiamo denunciato la totale mancanza di diritti umani sotto il suo regime e gli abusi commessi dal suo esercito in tutti i nostri rapporti. Ma chi oggi s?indigna non ci ha ascoltato. Nemmeno quando denunciavamo i bombardamenti con armi chimiche contro i curdi. Per questo pensiamo che, dopo decenni di tacita accettazione dei suoi crimini, la strategia del pompiere con Saddam non può funzionare. La guerra in nome di diritti umani che per anni si sono ignorati, è strumentale e ipocrita. Usiamo piuttosto le forme di pressione internazionale e gli strumenti coercitivi a disposizione: cominciamo inviando in Iraq degli osservatori internazionali sui diritti umani. Bisogna passare da una logica di repressione della crisi a una logica di prevenzione: ci sono crisi dei diritti umani pronte a scoppiare in Colombia, Nepal, Sudan, Medio Oriente e Repubblica Democratica del Congo. presidente di Amnesty Italia Flavio Lotti Amnesia? Ma se c?è un piano d?azione in 150 punti… Cosa penso di Saddam? Innanzitutto che dovremmo smetterla di fare affari con lui. Se vogliamo veramente farla finita con i dittatori, e non solo con quello iracheno, dobbiamo cominciare a rispettare le regole internazionali. Poi potremmo pretendere che vengano applicate in maniera indistinta. Di questo ha bisogno il popolo iracheno, non di una guerra e nemmeno di un embargo come quello cui è sottoposto: è tutto tranne che un?arma intelligente. Le misure concrete per risolvere il problema Hussein in maniera pacifica esistono. Sono oltre 150, e contenute nel piano d?azione “Come promuovere i diritti umani nel mondo” redatto, dieci anni fa, a conclusione della Conferenza mondiale dei diritti umani di Vienna. Sono 150 misure anti Saddam che gli Stati democratici si erano impegnati ad adottare e non hanno messo in pratica. Partiamo da qui. portavoce della Tavola della Pace Lisa Clark Ma sono gli amici iracheni i primi nemici di Saddam Da sempre diciamo che Saddam è un tiranno. Abbiamo un comitato di cittadini Usa-Iraq contro la guerra a Firenze. Mandiamo sempre uno statunitense e un iracheno agli incontri. Sa qual è la prima cosa che dicono gli iracheni del comitato? Che la nostra opposizione alla guerra non deve considerarsi un appoggio a Saddam. Dal 1991. Non bisogna farsi condizionare dall?”O con noi, o contro di noi” di Bush. Noi siamo convinti che si possa essere per la pace. Senza dover essere per forza contro Bush. Beati i costruttori di pace Fabio Alberti Non è solo lui il problema. Anzi lui va bene a troppi Lavoriamo in Iraq dal 1991, dalla fine della guerra e dall?inizio dell?embargo che ha rafforzato il regime di Saddam invece di indebolirlo. Il primo passo per aiutare il Paese, dunque, è cancellare le sanzioni che gli impediscono di svilupparsi economicamente e, quindi, di diventare un Paese democratico. Obiettivo, questo, che secondo noi gli iracheni devono raggiungere da soli, senza ingerenze di Stati esterni che per anni hanno sostenuto economicamente Saddam Hussein. La democrazia non può essere imposta dall?Onu o importata dall?estero, è un processo storico che si deve compiere all?interno del Paese. L?Iraq non ha bisogno di un nuovo colonialismo, devono essere i suoi abitanti a decidere sul futuro e sul destino dell?attuale leadership politica che è un regime e non può essere ridotta solo alla persona di Saddam Hussein. presidente Un ponte per … Angelo Simonazzi Da 12 anni lo accusiamo, e lui ci ha cacciato dall?Iraq Di certo la guerra è contro i bambini. Qualsiasi guerra. E la nostra posizione è dettata dall?esperienza che abbiamo in Iraq dal 1991. E purtroppo la situazione dei bambini negli ultimi 12 anni è peggiorata e la mortalità infantile è raddoppiata. In passato abbiamo spesso attaccato Saddam perché calpesta i diritti dei minori, lo continuiamo a fare oggi, ma come organizzazione indipendente non spetta a noi dire chi deve governare l?Iraq. Ma da sempre attacchiamo Saddam sul tema infanzia, anche perché è stato il suo governo a non permetterci più di lavorare nel centro-sud del Paese. Ora ci stiamo posizionando in Turchia, Iran e Siria per fare fronte a un?eventuale emergenza nel caso malaugurato di un attacco. direttore Save the children Italia Marco Pannella Partito radicale La mia proposta per risolvere la crisi irachena è questa: Saddam Hussein vada in esilio e l?Onu, come ha fatto in passato in Kosovo e in Africa, ponga l?Iraq sotto un regime di amministrazione fiduciaria internazionale. Sotto un governo transitorio e democratico che, in ventiquattro mesi, riesca ad assicurare al popolo iracheno le libertà che la Carta dell?Onu e decine di trattati e dichiarazioni riconoscono come un diritto storicamente naturale. Sui membri che dovrebbero far parte di questa amministrazione provvisoria ci si può sbizzarrire: penso a economisti affermati come Amartya Sen, ai maggiori presidenti del Consiglio occidentali, ad alcuni leader democratici del Sud del mondo e anche alle ong. E che non ci sia la successione a Saddam cui lavorano i sauditi e presunti partiti di opposizione iracheni o un golpe di parenti dello stesso dittatore: cadremmo dalla padella alla brace. La vera alternativa non è tra guerra e pace ma tra guerra e libertà. L?unica alternativa è una mobilitazione immediata per la libertà e la democrazia, un?ipotesi realistica se si forma un movimento internazionale. Il raìs come alibi Premesso che il raìs è un mascalzone, il problema sono le sofferenze che passerà il popolo iracheno in caso di guerra. Il problema è il diritto internazionale calpestato. Saddam poi non è l?unico soggetto pessimo in circolazione. La resa del mondo alla real politik degli Usa non è grazie a Dio formalizzata oggi, ma se io dico che non c?è diritto d?attacco Usa perché c?è l?Onu che ha il compito di farlo, sembra che viva sulle nuvole. Perché il mondo oggi è dominato da una Superpotenza-Impero. Il problema oggi non è la denuncia di Saddam, che da anni si sa che è un tiranno, ma il fatto che una Superpotenza si sta muovendo e che noi, l?Europa, dovremmo affidare a un solo Paese il diritto di decisione ultima su chi è degno di governare uno Stato e chi non lo è. Oggi tocca all?Iraq ma domani potrebbe toccare al Venezuela di Chavez, poi all?Iran che nel 2008 avrà l?atomica, poi alla Corea del Nord. Questa linea di principio è pericolosissima perché si rischia d?introdurre un precedente che la Superpotenza userà a suo piacimento. Nessuno di noi sarà più al sicuro. Se passa il principio per cui gli Usa decidono chi è degno di governare un Paese si rischia che, domani, lo stesso Chirac potrebbe “non essere considerato degno”. E allora che faranno, attaccheranno Parigi? L?indegnità non basta perché una potenza straniera destituisca un governante. Bisogna tornare al diritto internazionale. Perché questa sarà una guerra fatta per motivi pretestuosi, un nonsense assoluto. Per questo la sottolineatura del carattere negativo di Saddam oggi rischia d?essere peggiore del male, rischia di dare un alibi morale a una manovra cinica degli Usa. Una manovra di vero e proprio brigantaggio internazionale. Oggi è irragionevole chiedere a Saddam di andarsene. In primis, perché non è solo e anche se dovesse andare in esilio in Russia o in Libia, possiamo permetterci di abbandonare alle rappresaglie di chi verrà il milione di persone che oggi lo appoggiano? Capisco le ragioni morali di chi dice che bisogna anche denunciare la tirannide di Saddam, sono certo della loro buona fede. Ma proprio per ragioni morali oggi bisogna avere delle priorità e, quindi, denunciare il brigantaggio internazionale di Bush. Non bisogna scambiare i principi morali con dei mantra. Perché una condanna dura di Saddam ora, mentre chiediamo di non fare una guerra irrazionale (e non una pace astratta), rischia di essere il mantra con cui l?Europa si laverà la coscienza e gli Usa passeranno all?azione. Franco Cardini Info: Come aiutare chi va contro la guerra Un Ponte per… Sito della non profit che da 10 anni si batte per sospendere l?embargo in Iraq e aiutare le sue vittime, in gran parte bambini. Potete sostenerla con donazioni online o aderendo alle sue iniziative di solidarietà tra cui progetti di adozione a distanza Pace da tutti i balconi! è il portale della campagna Bandiere di Pace che invita a esporre la Bandiera della pace o un pezzo di stoffa bianco con scritto ?no alla guerra? ai balconi delle case finché non sarà scongiurata la minaccia di un conflitto armato contro l’Iraq. Sostegno: donazioni e segnalazione della vostra bandiera di pace Gli appelli su questo sito trovate l?appello, da firmare online, della campagna Fuori l?Italia dalla guerra www.retelilliput.org dal sito della Rete di Lilliput parte un link all?iniziativa Baghdad Italian Peace Observer Team (Bipot), lanciata con altri enti del Terzo settore, che si propone di fermare la guerra annunciata attraverso azioni di attivismo mediatico e l?invio di volontari in Iraq che, tornati in Italia, raccontino ai media, ai politici e alla gente comune le reali condizioni di vita nel Paese


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