Volontariato

Sangue artificiale, tanto rumore per nulla

«Ci vorranno anni e se anche arriverà, non potrà in alcun modo sostituire la donazione» rivela Giuliano Grazzini dell'Iss

di Redazione

Rivoluzione sangue, arriva quello artificiale. La grancassa mediatica nei giorni scorsi non si è fatto sfuggire un piatto così succulento. Tanto che la notizia ha guadagnato in un batter di ciglia molto spazio sulle pagine delle maggiori testate italiane. Ma non solo. Qualcuno del milione e 600mila donatori che assicurano le 11mila trasfusioni di cui gli italiani hanno bisogno ogni giorno, si è perfino chiesto: «A questo punto io a che servo?». Domanda legittima, quanto inopportuna: i volontari del sangue sono e continueranno ad essere un architrave essenziale. «I coordinatori territoriali di Fratres, stanno spiegando proprio questo ai nostri 150mila sostenitori: per loro non cambia niente», rivela il presidente nazionale Luigi Cardini. Un lavoro che l’associazione condivide con l’Avis (oltre un milione di soci donatori). Spiega il numero uno Andrea Tieghi: «Non credo che accuseremo alcun contraccolpo, anche perché ai nostri soci stiamo spiegando che il sangue artificiale se – e quando – arriverà non sarà in alcun modo sostitutivo di quello umano». E qui sta il punto.
A mettere i puntini sulle i è lo stesso Giuliano Grazzini, direttore del Centro nazionale sangue dell’Istituto superiore di sanità. A partire dallo stato di avanzamento dalla ricerca lanciata dalla Mount Sinai University dello Stato di New York (e non della Mayo Clinic come hanno scritto alcuni giornali) a cui l’Iss collabora attraverso una ricercatrice italiana e un contributo economico. «Ci stiamo apprestando alla valutazione dell’impatto che la produzione di sangue in laboratorio, che già si effettua da molti anni, potrebbe comportare nel passaggio a una produzione industriale». In altre parole, uno studio di fattibilità. Che, nel migliore dei casi si concluderà non prima di quattro anni, «ammesso che sia fattibile dal punto di vista medico e sostenibile da quello economico», aggiunge Grazzini. Dopo di che si aprirà la fase di testing sulle persone. Ma non solo: nel momento in cui si decidesse di seguire questo percorso «i pazienti che potrebbero usufruire del sangue arficiale sarebbero comunque molto pochi». Il suo utilizzo infatti è, come riconosce l’intera comunità scientifica, molto specifico. «Potrebbe servire per esempio», abbozza il direttore del Cns, « per alcune tipologie di anemia». «Ma questo», taglia corto Grazzini, «non toglie che oggi come domani le donazioni dei volontari siano imprescindibili per la tenuta del sistema».
Anche perché il sangue artificiale non andrebbe comunque a colmare il vero neo italiano: il fabbisogno di plasma (che serve per la produzione di emoderivati), «che ancora importiamo per una quota vicina al 40% delle nostre necessità», conclude Cardini.


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