Il nostro Paese è investito da una crisi economica e sociale senza precedenti. Secondo le ultime previsioni fornite dal Centro studi di Confcommercio, nel 2009 l’Italia farà un salto all’indietro di dieci anni, sia in termini di Pil che di consumi pro capite. Le stime meno catastrofiche parlano di circa 60mila piccole imprese in procinto di chiudere e di quasi quattro milioni e mezzo di lavoratori a rischio. L’aumento della disoccupazione, la riduzione dei salari reali, del potere d’acquisto e dei redditi delle famiglie, con l’incremento dell’inflazione stanno già colpendo le aree più povere e le categorie più deboli della popolazione. Il paradosso è che proprio nel momento in cui le persone vedono contrarsi reddito, lavoro e potere d’acquisto, i servizi sociali e le politiche di sostegno alle famiglie, la sanità e la scuola, invece di essere maggiormente sostenute, subiscono un pesantissimo taglio delle risorse. Una contrazione della spesa pubblica che ammonta a circa 5 miliardi di euro per quest’anno e a più di 16 miliardi per il triennio 2009/2011. Da subito sono stati cancellati i fondi per l’immigrazione, quelli che sostenevano le donne vittime di violenza e gli aiuti non fiscali per le vittime di usura o estorsione; è stato ridotto il Fondo sociale nazionale e sono diminuiti i trasferimenti a Comuni e Regioni (di oltre 9 miliardi entro il 2011) che saranno costretti a ridurre i servizi erogati ai cittadini. E dunque, per evitare che la crisi economica si trasformi rapidamente anche in una disastrosa crisi sociale, bisogna reagire subito. Il mito della crescita economica e del suo fallimento rinviano inevitabilmente, però, ad un altro concetto: quello dello sviluppo inteso non solo come aumento della ricchezza, ma come benessere e soddisfazione complessiva dei bisogni dell’uomo, di rispetto dell’ambiente e di crescita della coesione sociale. Si tratta di un dibattito appena alle prime battute, ma che si presenta particolarmente vivace e che se per un verso suggerisce approfondimenti di grande interesse sul ruolo della cooperazione sociale e sulla spiegazione del suo successo, per un altro propone razionalizzazioni nuove delle tante esperienze nate in questi anni. La quantità di risorse messe a disposizione dalla pubblica amministrazione ha condizionato non solo la loro crescita ma il loro essere promotore di sviluppo locale. D’altro canto il mercato sociale non può che prevedere un ruolo centrale del pubblico, e deve piuttosto contribuire ad allargare e migliorare il complesso delle risposte – pubbliche e private – nei confronti dei cittadini e del territorio.
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