Welfare

E dalla crisi nasce un’altra idea di impresa

Da Milano e Rimini due casi destinati a fare scuola

di Giuseppe Frangi

La Confindustria riminese ha creato un Fondo di garanzia per i suoi addetti. Nella metropoli lombarda i manager della Kme Group sostengono i dipendenti in difficoltà Ritorno ai fondamentali, via dai fondamentalismi della paura. A Rimini questa ricetta non se la sono inventata oggi, per vincere la paralisi indotta dalla crisi. La Confindustria del territorio è un’organizzazione che raccoglie 500 imprese. Ha presentato quest’anno un bilancio sociale, il primo, che vuole anche essere un passo di avvicinamento verso un altro progetto ancora più interessante: realizzare un bilancio aggregato di tutte le imprese del territorio impegnate nel campo sociale.
Da un anno la Confindustria riminese è al lavoro su un’idea che proprio in queste settimane è diventata realtà. Si chiama EffeGiDi, che sta per Fondo di garanzia per i dipendenti delle aziende delle imprese della provincia. Lo spunto era nato dall’esperienza di tre aziende che avevano varato uno strumento che garantisse crediti ai propri addetti, evitando che pagassero interessi proibitivi sui prestiti, tipo il quinto dello stipendio.
Maurizio Focchi, presidente di Confindustria Rimini e titolare di un’azienda leader nella realizzazione di facciate di edifici ad alto contenuto tecnologico, ha colto la bontà dell’idea e ha quindi pensato di farla propria di tutto il sistema di imprese.
L’associazione degli industriali ha messo nel Fondo di garanzia 25mila euro più una fideiussione di 75mila. Attraverso una convenzione con una banca del territorio, vengono concessi prestiti a tasso agevolato sino a 10mila euro. Chi sono i destinatari? Spiega Focchi: «Sono i dipendenti che ne facciano richiesta alla propria direzione del personale». E quali sono i criteri seguiti? «Ovviamente non è credito al consumo il nostro. Finanziamo spese sanitarie o per la formazione dei figli o per l’acquisto della casa. È una risposta a un bisogno sociale sempre più forte». I numeri confermano l’osservazione di Focchi: in Emilia Romagna nel 2008 il credito al consumo ha visto un’impennata, sfiorando i 6,5 miliardi di euro, di cui 2,9 erogati da finanziarie (erano complessivamente 5,7 nel 2007).
E chi controlla? Spiega Focchi: «Abbiamo costituito un comitato di gestione di cinque membri, presieduto da Paolo Maggioli, che vaglia le richieste». Il modello piace, già numerose altre associazioni industriali si sono fatte avanti per conoscere e replicare sui loro territori. «In effetti noi abbiamo avuto l’intuizione di iniziare un anno fa lo studio del Fondo, che ha richiesto molto tempo perché le technicalities da risolvere non erano da poco. Oggi arriviamo con questo strumento nel momento in cui se ne sente un bisogno più acuto».
Focchi è il prototipo dell’imprenditore italiano legato al territorio, orgoglioso della fidelizzazione che riesce a creare intorno all’impresa. «È un modello che nel contesto di crisi aiuta. Perché siamo diversificati in molti settori. E abbiamo un rapporto consolidato con chi lavora con noi, come dimostra anche il progetto del Fondo. È un tipo di impresa, quella italiana, che si appoggia su un patto di fiducia con l’ambito sociale circostante. E parlo dell’80/85% delle aziende esistenti». E Confindustria vi dà ascolto, o ascolta il 15% restante? «In questo momento c’è davvero una grande sintonia a livello di iniziative. Siamo sostenuti in tutte le attività e nei tavoli che intraprendiamo a livello locale».
Dalla Romagna alla Lombardia
Diverse dimensioni ma uguale approccio quello sperimentato a Milano da un grande gruppo industriale leader nella trasformazione del rame: Kme, con 6.400 dipendenti in 16 diversi Paesi. Il 26 marzo il consiglio di amministrazione della multinazionale ha approvato la costituzione di un Fondo di solidarietà, ribattezzato Kme Benevolent Fund. A differenza di Focchi, Enzo Manes, azionista di maggioranza e vicepresidente del gruppo, ha attinto lo spunto da un modello industriale molto diverso, quello anglosassone. «I Benevolent Fund sono molto frequenti nel sistema dell’associazionismo industriale inglese: si tratta di fondi che vengono incontro alle necessità temporanee di dipendenti e di ex dipendenti». Ma più dei modelli d’Oltremanica ha giocato, ammette Manes, un sano spirito competitivo: «Quando ho visto che la Diocesi di Milano si è mossa e ha mobilitato 3,5 milioni di euro per sostenere le famiglie colpite dalla crisi mi sono chiesto se non era il caso che ci muovessimo anche noi. Così al cda abbiamo proposto di costituire questo Fondo che viene alimentato da un contributo del top management e dei manager del gruppo. Ciascuno devolve dieci giorni di ferie e rinuncia a una parte degli emolumenti». L’aiuto consisterà in donazioni o in prestiti a interesse basso o addirittura a zero, a disposizione di una platea di circa 16mila persone. Nelle prossime settimane verrà costituito il Comitato che dovrà stabilire i criteri di assegnazione.
Intanto Manes guarda già avanti: «È chiaro che un’iniziativa come questa fa bene all’azienda, consolida una buona cultura imprenditoriale e difende le persone che sono il patrimonio più importante che abbiamo. Ma il meccanismo dimostra che si può fare e osare di più». L’idea è ambiziosa: mirare più in alto e puntare a costituire a un fondo interaziendale di 10 milioni di euro per sostenere il microcredito. Spiega il vicepresidente di Kme: «Ovviamente andiamo in outsourcing. Nel senso che con questo capitale faremo da garanzia a chi già fa microcredito, per permettere di ampliare l’attività, sia a livello solidale che a livello di start up sociali».

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