Non profit

otto associazioni al capezzale della social card

Aperto un tavolo con il ministero del Lavoro

di Maurizio Regosa

Gestire (meglio) la carta acquisti tramite convenzioni con alcune non profit. Lo consente il decreto che ha allungato i tempi di erogazione.
Le associazioni dicono sì. Ma chiedono un salto di qualità Una convenzione con le associazioni di terzo settore per gestire meglio la social card. Il dialogo iniziato nella redazione di Vita tra il ministro Sacconi e le associazioni fa finalmente un passo avanti. Lo permette un passaggio del decreto che ha stabilito la proroga dei termini e precisato alcuni aspetti controversi (è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 marzo). Fra le modifiche, appunto, è stata introdotta la possibilità che il dicastero del Lavoro, «d’intesa con il ministero dell’Economia», autorizzi soggetti anche non profit «previa stipula di apposita convenzione», a «raccogliere le richieste e a presentarle al gestore del servizio, prevedendo, in tali casi, l’invio della carta alla residenza del beneficiario».
«Oggi questa possibilità è stata messa nero su bianco ed è senza dubbio un passo avanti», spiega soddisfatto Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per le onlus, che in queste settimane ha fatto da “ponte” tra il ministero del Lavoro e alcune associazioni (scelte per il tipo di attività che svolgono, la rappresentatività e per radicamento territoriale). In pratica ne ha sondato la disponibilità (vedi articolo a pagina 13).
Si è aperto in questo modo un tavolo di lavoro fra il dicastero guidato da Maurizio Sacconi e Acli, Arci, Banco Alimentare, Comunità di Sant’Egidio, Fondazione Opera San Francesco, Conferenza San Vincenzo e Caritas (cui si aggiungerà anche l’Auser). Venerdì 3 aprile la prima riunione. «Un appuntamento interlocutorio», spiega Paolo Ciani, portavoce di Sant’Egidio, «utile soprattutto per comprendere il quadro della situazione ed ascoltare le intenzioni del ministero». Una posizione abbastanza trasversale fra le realtà convocate, come conferma Paolo Beni, presidente dell’Arci: «Da parte nostra non ci sono preclusioni ideologiche nei confronti di nessuno strumento. Noi abbiamo criticato pubblicamente la social card ritenendola una soluzione inadeguata alle necessità. In ogni caso però anche la carta acquisti deve essere gestita con tempestività ed efficienza».
Il riferimento, del resto assai poco velato, è al parziale successo dell’iniziativa (penalizzata anche dalla complessità di un meccanismo che, secondo talune stime, ha raggiunto circa la metà del milione e 300mila persone calcolate a novembre dal governo).
Non vi è dubbio che le lentezze procedurali del passato siano state una poco utile zavorra. È l’opinione anche di padre Maurizio Annoni, presidente dell’Opera San Francesco, che spiega: «Non siamo andati all’incontro perché non avremmo le forze di sottoscrivere una convenzione, ma è auspicabile una maggiore agilità della social card, meno burocrazia e più certezze nei tempi di ricarica. L’auspicio è che tramite le future convenzioni ci sia la possibilità di individuare soluzioni più semplici».
Ogni miglioramento è ben accetto, evidentemente. Soprattutto se serve ad aperture, diciamo così, più di sostanza. «La social card deve diventare un contenitore», aggiunge Marco Lucchini, direttore generale della rete Banco alimentare, «ha delle potenzialità che se affidate alle organizzazioni non profit potranno svilupparsi con maggior efficacia ed efficienza. Certo però vanno gestite non a livello centrale, ma direttamente sui territori. Questo vuol dire superare la semplice distribuzione di 40 euro arricchendo l’offerta con servizi che possono essere prestati dal volontariato».
Un ragionamento che implica una assunzione di maggiori responsabilità da parte delle associazioni titolari delle convenzioni prossime venture (e, aggiunge Lucchini, «disponibili a gestire tale impegno con forme, magari semplificate, di rendicontazione»), ma che soprattutto fa leva sulla capacità di mobilitazione del terzo settore: grazie al capitale umano e sociale, uno più uno non fa due, è cosa nota. D’altro canto l’esigenza di allargare il discorso dal semplice strumento gestionale a una politica di contrasto alla povertà e alle diseguaglianze territoriali è una preoccupazione condivisa. La esplicita anche Beni: «Serve una diversa strategia nazionale e continuativa che sappia miscelare gli interventi di carattere monetario con l’implementazione di una rete di servizi territoriali e con percorsi di accompagnamento e di inclusione sociale».


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