Una guida a rileggere le parole chiave dell’agire economico, dopo la caduta dei miti e lo sgonfiarsi delle bolle. Ecco le parole già analizzate: Felicità, Profitto, Mercato, Banca, Investimento, Responsabilità, Regole, Interesse. Questa settimana la voce Organizzazione.
La nostra vita si svolge per buona parte all’interno di organizzazioni: famiglia, palestra, associazioni, imprese, supermercati. Un’impresa o un ospedale sono delle istituzioni complesse create e coordinate in vista di un fine (o di più fini), con appositi strutture e strumenti. Una famiglia o un’associazione sportiva non vengono immediatamente percepite come organizzazioni, perché non è semplice individuare né il fine per cui nascono, né gli strumenti per il loro funzionamento. Va però ricordato, anche perché spesso dimenticato anche dai teorici delle organizzazioni, che la vita sociale non è composta solo da organizzazioni: l’altra metà del cielo è infatti occupata da convenzioni, cioè da azioni complesse che non sono “create” da qualcuno (come un’impresa o una scuola). Il traffico stradale, ad esempio, è un classico esempio di convenzione.
Nelle organizzazioni la nota dominante è la cooperazione. Nelle convenzioni la cooperazione è molto meno evidente, e non è normalmente intenzionale: chi esce di casa al mattino in auto non ha come fine cooperare con gli altri automobilisti, ma arrivare prima possibile e bene al lavoro: la cooperazione è un fatto in un certo senso oggettivo. Anzi, potremmo dire che una importante differenza tra le organizzazioni (le imprese) e quella grande convenzione-istituzione (non organizzazione) che è il mercato, ha proprio a che fare con il binomio cooperazione-competizione. Il mercato, si dice, funziona bene quando i soggetti competono tra di loro, mentre l’impresa è essenzialmente cooperazione. O meglio: l’impresa in quanto organizzazione, o nei rapporti interni, è cooperazione; l’impresa, in quanto soggetto del mercato, nei suoi rapporti esterni, è invece competizione. In realtà questa visione, ben consolidata nella teoria, ha delle pecche, sia per l’impresa-organizzazione che per il mercato-convenzione. Innanzitutto anche all’interno delle organizzazioni la competizione è importante: certo, se prevale questa rispetto alla cooperazione le organizzazioni vanno in crisi, ma la competizione va anche letta come cum-petere, cercare insieme. Al tempo stesso, il mercato non può essere letto solo come una faccenda di concorrenza, poiché la dinamica di mercato è anche, e secondo me soprattutto, un’azione cooperativa congiunta.
C’è poi un aspetto che considero particolarmente pericoloso oggi nella teoria, e soprattutto nella prassi, della organizzazione: è quello che potremmo chiamare “riduzionismo”o “isomorfismo” organizzativo. Di che cosa si tratta? È la tendenza a trattare tutte le forme organizzative come realtà sostanzialmente simili. Ovviamente ci sono molte cose in comune tra un’impresa commerciale, una cooperativa e una comunità religiosa, ma una buona teoria organizzativa deve concentrarsi sulle differenze. Gli esseri umani e gli scimpanzé condividono il 98% del Dna, ma proprio quel 2% è ciò che più conta.
La cultura della globalizzazione porta con sé una radicale tendenza alla standardizzazione degli strumenti organizzativi: se non si dà importanza a quel 2% di differenza non riusciamo più a vedere gli elementi decisivi in ogni organizzazione, che si chiamano cultura, identità, valori, missione. L’organizzazionedi una cooperativa sociale potrà avere, forse, solo il 2% di diversità rispetto ad un’impresa capitalistica, ma se consulenti e manager le trattano allo stesso modo cancellano secoli di storia, di libertà, di civiltà, e così spesso la portano su sentieri insostenibili. Una società civile invece cresce bene quando rende possibile la vita a più forme organizzative, rispettandole e favorendole nelle loro specificità e cultura.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.