Mondo

L’Africa nell’angolo

Al summit di Londra in rappresentanza del Continente nero presente solo il Sudafrica eil Nepad

di Joshua Massarenti

Il destino dell’Africa si gioca a Londra. Il Summit del G20 che si è aperto con la trgedia della morte di un manifestante per cause ancora da accertare da oggi riunisce allo stesso tavolo i capi di Stato dei venti paesi più potenti del pianeta ha per duplice missione quella di trovare un’azione coordinata contro la crisi economica e rifondare il sistema finanziario. Da Le Monde al Times, dalla Bbc a Radio France International, le principali testate internazionali hanno sottolineato i rischi che incorrono i paesi africani in questo G20. A dirlo in maniera esplicita è stata la Banca africana di sviluppo (Bad), secondo la quale “anche se ai negoziati parteciperanno il capo di Stato etiope Meles Zenawi in qualità di rappresentante del Nepad e il Sudafrica, l’Africa rimane marginalizzata”.

Marginalizzata da sfide colossali rispetto alle quali un continente iscritto nella categoria ‘peso piuma’ del commercio mondiale è costretto a giocarsi la pelle tra i ‘pesi massimi’. Ma i leader africani non hanno aspettato il G20 per chiedere ai paesi ricchi la parte che spetta all’Africa in questo tsunami economico. In una riunione tenutasi il 10 marzo scorso a Dar-es-Salaam (Tanzania), i ministri delle Finanze hanno espresso i loro timori di fronte alle cifre snocciolate dal Direttore del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Domique Strauss-Kahn. L’ultimo rapporto del FMI rivela che il tasso di crescita del pil africano passerà dal 5,5% registrato nel 2008 al 3% nel 2009 (leggi qui l’inchiesta di Vita magazine).

Secondo l’istituzione finanziaria, questa diminuzione costerà 18 miliardi di dollari ai 390 milioni di africani più poveri, ovvero 46 dollari pro capite e la perdita per ogni abitante del 20% dei propri introiti. Alla vigilia del Summit, la BAD ha poi ricordato gli effeti nefasti che sta avendo il crollo delle rimesse provenienti dai migranti africani residenti all’estero. Da cui l’urgenza di trovare fondi freschi, e in fretta. Sempre secondo il Fondo monetario, i 36 paesi più poveri del mondo (in maggioranza africani) riserve di cambio per appena un mese di sopravvivenza e quindi necessitano di interventi urgenti pari a 25 miliardi di dollari. Per molti di questi paesi il rischio di dichiarare lo stato di fallimento è dietro l’angolo.

Pochi giorni fa è uscito un rapporto in cui i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali africani hanno ricordato che gli sforzi prodotti dall’Africa negli ultimi anni rischiano di essere spazzati via da “fattori che fuggono totalmente al controllo del continente”. Insistendo sul fatto che con l’origine di questa crisi gli africani non c’entrano nulla, “appare ormai chiaro che dopo essere sfuggiti ai primi impatti” provocati dal caos finanziario, ora lo tsunami economico si sta abbattendo come una furia su “imprese, mine, impieghi, salari e mezzi di sussistenza”. Commercio, flussi di capitali, rimesse. La crisi non risparmia più nessuno. Da cui il richiamo lanciato pochi giorni dalla Banca africana di sviluppo ai donatori internazionali: “Siete già in ritardo rispetto agli impegni presi prima della crisi, e cioè destinare all’Africa 70 miliardi di dollari entro il 2010. Oggi ne abbiamo ricevuti appena 30, ovvero meno della metà. Intanto i bisogni sono aumentati”. Purtroppo c’è da chiedersi se a Londra il G20 ne terrà conto.

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