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Più soldi ai più bravi Obama entra in classe

Allargamento dei diritti degli studenti e possibilità di licenziare i docenti meno performanti. Il sistema dovrebbe andare a regime nel 2020. Gli oppositori? Tutti dentro il Partito democratico

di Alessandra Marseglia

Diritto allo studio, ma meritocrazia. Scuole e università più economiche per gli studenti meno abbienti, ma anche programmi più competitivi con premi sostanziosi per gli insegnanti che li realizzano. E per i fannulloni, il licenziamento. Benvenuti nel sistema scolastico americano del futuro, del 2020 precisamente, quando negli obiettivi del presidente Barack Obama «la media dei laureati per numero di abitanti sarà la più alta del mondo». «Il futuro appartiene al Paese che meglio saprà educare i suoi cittadini», ha detto Obama, «all’America non manca niente per esser quel Paese».
E non mancheranno nemmeno i fondi. Nello stimulus package approvato a febbraio dalle due Camere, l’educazione è tra le prime voci di spesa, con un budget dedicato di oltre 100 miliardi, più del doppio rispetto all’era Bush: è la cifra più alta mai spesa dagli Usa per l’istruzione. Questa montagna di denaro, amministrato dal segretario all’Istruzione Arne Ducan, noto per il rigore e l’innovazione nello Stato dell’Illinois e amico personale di Obama, sarà distribuita a tutti i livelli scolastici: dagli asili pubblici, per favorire le mamme lavoratrici, alle scuole elementari, per renderle pronte a ricevere i bambini disabili; dalle università statali, che costano più degli atenei privati, ai progetti di istruzione per le madri single.
«Solo un terzo dei nostri 13-14enni legge come dovrebbe un ragazzino della sua età», ha detto Obama, «e il suo curriculum scolastico è almeno due anni indietro rispetto a quello dei ragazzi di altre Paesi sviluppati». Obama, spalleggiato da Duncan, è infatti un forte sostenitore di una scuola che misuri le performance oggettive dei propri studenti e che, in un processo di valutazione globale, non tralasci nemmeno i professori. La grande novità del programma presentato da Obama sta infatti nell’introduzione di un sistema meritocratico per gli insegnanti che non ha precedenti nel Partito democratico e piuttosto pare l’ennesima innovazione di un’amministrazione riluttante a qualunque etichetta. «So che questa è un’idea difficile da far digerire al mio stesso partito», ha riconosciuto, «ma sono deciso a sostenerla fino in fondo. È giusto che gli insegnanti siano trattati come professionisti e che chi raggiunge risultati migliori nelle performance dei propri studenti vada premiato economicamente». Obama non ha paura di dire anche che per «gli insegnanti che hanno avuto occasioni per migliorarsi e non l’hanno fatto», è previsto il licenziamento. Il progetto per il momento riguarderà 150 distretti scolastici su 15mila e prevede per i migliori, oltre che un riconoscimento economico, anche la possibilità concreta di carriera all’interno dell’istituto scolastico.
Il metodo meritocratico riguarda anche gli stessi istituti, che in una sorta di «corsa all’eccellenza» potranno guadagnarsi maggiori fondi pubblici solo se saranno in grado di proporre programmi innovativi ed anche alternativi rispetto ai percorsi di studio classici. In questa logica rientra anche il maxi finanziamento (il doppio rispetto a quello di Bush) stanziato per le “charter school”, una sorta di scuole sperimentali che da anni raccolgono consensi alternati tra i politici americani.
Ma più che dal Partito democratico, i problemi per Obama potrebbero arrivare dai sindacati delle scuole. Storicamente contrarie al sistema meritocratico – che a loro dire corre il rischio di mettere gli insegnanti uno contro l’altro – le unions americane rappresentano però la colonna portante del Partito democratico, considerando che nell’ultimo congresso un delegato su dieci apparteneva a queste organizzazioni.


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