Non profit

Un tappeto rosso per il cinema in nero

Con Stefano Manservisi al festival di Ouagadougou

di Joshua Massarenti

Il direttore generale Sviluppo della Commissione europea era al Fespaco come appassionato. E nella convinzione
che i film siano uno straordinario mezzo di promozione
per l’Africa. Ecco il suo bilancio Per Stefano Manservisi, la passione del cinema nasce da un padre amante della settima arte e distributore di film in parrocchie e circoli Acli di mezza Italia. «Di pellicole ne avrò viste 3mila». Oggi l’attuale direttore generale Sviluppo della Commissione europea ha scoperto un’altra passione: l’Africa. Inutile quindi chiedergli le ragioni della sua presenza a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, in occasione del Festival panafricano del cinema e della televisione. Per Vita l’incontro con Manservisi è stato invece l’occasione di fare il punto sulle politiche culturali che l’Unione Europea intende promuovere con l’Africa. E saperne di più sul destino del cinema africano. Visto da Bruxelles, naturalmente.
Vita: Tra le mille polemiche che hanno accompagnato il Fespaco, c’è chi dice che gli organizzatori del festival hanno ricevuto meno soldi del previsto dall’Unione Europea. Vero o falso?
Stefano Manservisi: Falso. Per questa edizione i burkinabé ci hanno chiesto 90mila euro quando solitamente ce ne chiedevano attorno ai 200mila. A Bruxelles siamo rimasti un po’ sorpresi, ma tant’è, questo hanno ricevuto.
Vita: Con i problemi di organizzazione che abbiamo visto. È rimasto deluso anche lei?
Manservisi: Sono venuto in Burkina Faso da vero appassionato di cinema e di Africa. E da appassionato di cinema sono stato felice di constatare che c’erano tanti bei film, tra cui Teza, che aveva già vinto a Venezia. L’altro motivo di soddisfazione è stata la riflessione lanciata assieme ai professionisti del settore sulla svolta da dare alla cinematografia africana, o meglio su come aiutare la filiera cinema. Su un piano generale, si trattava di riflettere sul modo con cui rafforzare l’importanza della cultura nella politica di sviluppo, il tema centrale tra l’altro della grande conferenza «Cultura e sviluppo» che si terrà a Bruxelles a inizio aprile.
Vita: Sono tempi difficili in cui finanziamenti pubblici e privati destinati all’Africa, e in particolar modo alla cultura africana, rischiano di calare drammaticamente. Come convincere un Paese europeo o africano che la cultura è uno strumento di sviluppo importante per il continente?
Manservisi: Chi pensa non spara. Già solo per questo la cultura andrebbe supportata, e non soltanto in Africa. C’è poi da dire che nei Paesi Acp, in particolare l’Africa e i Caraibi, la cultura è industria. Dalla musica al cinema, passando per le arti figurative e teatrali, gli artisti di queste aree hanno una capacità di produzione tale che se avessero la possibilità di conquistare mercati redditizi potrebbero generare soldi e occupazione, quindi una dinamica di sviluppo e di crescita economica. Tra i miei prossimi obiettivi alla Direzione Sviluppo, c’è quello di allargare l’accesso delle produzioni culturali dei Paesi Acp ai nostri mercati. Sul versante aiuti, un grande regista come Souleymane Cissé ci ha poi ricordato che dagli anni 90 i fondi europei versati al cinema africano sono stati sempre più altalenanti. Quelli a disposizione purtroppo sono difficilmente accessibili per chi non sa muoversi nei meandri della burocrazia Ue. Ho parlato con quattro o cinque registi che si sono rifiutati di chiedere fondi per via dei formulari. «Delle due l’una», mi hanno detto,«o diventiamo esperti di formulari europei oppure facciamo i registi». Il mio invito è quello di cambiare fortemente procedure amministrative assurde che hanno finito per ostacolare il programma di sostegno dell’Ue alla cinematografia.
Vita: Ma non tutto il male arriva dall’Europa. Molti registi africani si lamentano anche del supporto quasi inesistente dei loro governi…
Manservisi: È l’altra faccia dolorosa delle condizioni difficili in cui versa non soltanto il cinema africano, ma tutta la cultura del continente. Nell’ambito della cooperazione Ue-Africa, ad eccezione del Mali nessuno ci ha chiesto di investire nel settore culturale. Al Burkina Faso, tanto per dare un esempio, diamo 500 milioni di euro, di cui il 70% finisce in sostegno al bilancio, il che significa flessibilità nella gestione dei fondi. Ora, affinché la cultura diventi parte integrante delle politiche di sviluppo è necessario che i governi africani facciano il primo passo e dimostrino volontà di investire sui loro artisti.
Vita: Con la crisi che si respira, c’è da temere il peggio…
Manservisi: Forse no. Ci stiamo avvicinando al mid-term review, una fase in cui l’Ue e i Paesi Acp fanno un bilancio del cammino percorso durante i primi due anni e mezzo del decimo Fondo europeo di sviluppo, che va dal 2008 al 2013. Per i governi africani c’è la possibilità di cambiare rotta e decidere di spostare le risorse verso la cultura. Ma sia chiaro, il problema non è soltanto di ordine economico. Qui ci vuole una vera politica culturale. Il che significa costruire sale cinematografiche, fare formazione, promuovere networking, etc. Un Paese come il Burkina Faso, stabile, ben governato e dotato di un alto profilo culturale, va incoraggiato in questo senso. Non a caso abbiamo scelto il Burkina come Paese test per lanciare una nuova politica di dialogo tra Ue e Paesi africani sulla cultura.
Vita: Con quali risultati?
Manservisi: Siamo soltanto all’inizio. Durante la mia permanenza al Fespaco, ho riunito allo stesso tavolo i ministri delle Finanze e della Cultura, e degli artisti. Al centro della discussione sono stati i 30 milioni di euro previsti nel capitolo “cultura”. Visto l’impossibilità di seguire la strada degli aiuti a pioggia, molti hanno accolto la mia idea di aiuto all’accesso ai mercati europei. Sono venute fuori idee molto interessanti. Ad esempio quella di estendere il programma media EuroMed all’Africa subsahariana per consentire una cooperazione con le sale cinematografiche europee affinché accettino di diffondere una certa quota di film africani. Un’altra possibilità sono i gemellaggi tra il Fespaco e festival europei come Cannes o Venezia. Li ho messi in guardia, ma rimane una possibilità. Più fattibile è invece la promozione della cultura africana presso i professionisti europei attraverso la produzione di cataloghi. Oppure un vincolo che l’Ue potrebbe imporre a delle compagnie o dei festival teatrali europei di presentare una compagnia africana in cambio del finanziamento. Sul cinema, c’è chi insiste con le co-produzioni: oggi un buon film africano non costa più di 400mila euro. L’Ue è disposta a fare la sua parte.
Vita: Ma c’è anche chi dice basta con le produzioni a rischio e invita a lanciarsi sul digitale, molto meno costoso…
Manservisi: Sul digitale è in corso una lotta intestina tra cineasti molto interessante: i baroni del cinema africano guardano con grande diffidenza un supporto tecnico che democratizza l’accesso alla produzione. Oggi c’è una nuova generazione di registi che punta molto sul digitale. Per quanto mi riguarda, sono favorevole a un supporto che allarga la produzione artistica. Lo stesso discorso potrebbe valere per il video, che consente una più ampia visione e diffusione dei film africani, che però vengono colpiti dalla pirateria. La soluzione potrebbe essere una tassa da imporre a quei locali che proiettano i film.


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