Welfare

Teatro e carcere, l’evasione in scena

Libertà,magia,disagio,amori impossibili e le ferree regole carcerarie si mescolano nelle pièces recitate da detenuti-attori di tutta Europa.

di Cristina Giudici

Il carcere è entrato in Europa. È successo alla terza edizione del convegno Teatro e Carcere che si è svolto la settimana scorsa a Milano. Registi e attori provenienti da tutti i Paesi europei hanno risposto all?appello di ?Ticvin Società Teatro? e si sono incontrati per dare luogo a una rassegna di quattro giorni e dimostrare che l?Europa del disagio, dell?impegno sociale e dell?arte hanno un linguaggio comune. La metafora più utilizzata è stata sicuramente quella della nave. La nave dei folli che ha dato nome alla compagnia di San Vittore e al loro spettacolo ispirato al poema medioevale di Sebastian Brant, ?La parata della nave dei folli?. Oppure la nave immaginata un ex ergastolano inglese, in viaggio verso l?Australia con un gruppo di bambini, per spiegare loro cosa voglia dire vivere in spazi reclusi, celle affollate, senza mai poter approdare in nessun porto. Una nave che rappresenta soprattutto un viaggio dove il tempo, come in carcere, rimane sospeso, fra l?illusione della libertà e un futuro che può essere solo un?invenzione teatrale. Così la nave è salpata. A bordo c?erano registi, attori, detenuti che da anni portano l?arte in carcere e il carcere nell?arte. C?era Ricard Salvat, docente di storia e arte scenica, per raccontare il lavoro nei manicomi criminali spagnoli con lo psichiatra di Salvador Dalì, basato sulla tecnica dello scambio dei ruoli. C?erano i bravissimi inglesi della compagnia Escape artists of Cambridge che hanno presentato il cortometraggio Wet Work (lavoro bagnato) trasmesso dalla Bbc e realizzato da John Hardwick, che racconta con crudo realismo le tacite regole delle carceri inglesi: il sesso a distanza fra una cella e l?altra, le leggi spietate per punire gli infami, i piccoli gesti di solidarietà per superare l?isolamento. E poi la regista spagnola Elena Canovas della compagnia Yeses, che utilizzando lo stile satirico di Pedro Almodovar ha raccontato il carcere femminile: gli incontri coniugali in cella e l?impossibiltà di concentrare nell?arco di un?ora al mese (come prevede la legge spagnola – ndr); i monologhi erotici di una prostituta detenuta, la cronaca di un ammutinamento, i riti di magia bianca nelle celle. Lo spettacolo Mal Bajio (destino avverso) è stato portato in scena da attrici professioniste e detenute. Carmen, una reclusa del carcere di Barcellona, ha detto: «Si è trattato di un incontro fortunato. Gli attori portano le tecniche, noi ci mettiamo le immagini». Fra le tantissime esperienze teatrali approdate a Milano c?era anche il registra della compagnia Teatro dell?Oppresso, nato in Brasile negli anni Sessanta con Augusto Boal per combattere l?oppressione militare. Rui Frati ha presentato Damiens ou le Grondement de la Bataille, liberamente tratto da ?Sorvegliare e punire? di Michel Foucalt. Ma la nave non si ferma qui, perchè a voler parlare dell?arte in carcere erano in tanti, un segno del crescente interesse verso i luoghi del disagio, ma anche una dimostrazione che per essere bravi artisti non bisogna essere usciti dalle accademie. «Non esiste la scissione fra arte e carcere», ha detto il regista del Teatro dell?arte popolare, Gianfranco Pedullà, che nel carcere di Arezzo ha messo in piedi la compagnia il Gabbiano, mescolandolo il Don Chisciotte di Cervantes a Beckett e ai dialetti napoletani. Lo slogan di questi artisti è l?improvvisazione, e il risultato è anche terapeutico. «Quando mi presento in carcere dico sempre di avere una cassetta degli attrezzi e che ognuno di loro può usarli», ha spiegato l?inglese Kate Lodge del Tipp centre. «Così a volte accade che invece di lavorare allo spettacolo, parliamo della società, del carcere e i detenuti imparano a controllare l?ira, a canalizzare la sofferenza e a crearsi una prospettiva. In Olanda ho visto addirittura dei detenuti offrire dei fiori alle guardie, alla fine dello spettacolo». Ora questa bizzarra internazionale del teatro europeo in carcere si prepara e una grande performance del 200O, da tenersi forse in Inghilterra. «Ma non bisogna dimenticarsi che il teatro in carcere deve servire a cambiare il carcere», ha detto Vincenzo Andraous, ergastolano e membro del Collettivo verde di Voghera che al Teatro studio di Milano ha portato lo spettacolo ?Gli scomparsi?, ambientato nell?Argentina dopo il colpo di stato dei militari. «Perché se i muri del carcere sono storti, allora il teatro deve servire a raddrizzarli».

Una compagnia libera

Ticvin Società Teatro è stata fondata a Milano nel 1989, dalla regista Donatella Massimilla e dall? attrice spagnola Olga Vinyals Martori. Dal 1991 il gruppo organizza e conduce sperimentazioni all?interno delle carceri milanesi. Dopo il primo spettacolo ?Il Decameron delle donne?, tratto dall’omonimo libro della scrittrice dissidente russa Julija Voznesenskaja, la compagnia inizia un percorso di ricerca artistica dentro la sezione femminile di San Vittore. Inizia così un viaggio lungo sei anni, che attraversa anche le sezioni maschili e l?Istituto minorile Cesare Beccaria. Dal primo spettacolo realizzato nella sezione maschile, ?La nave dei Folli?, sorge l?omonima compagnia di attori?reclusi. Il lavoro artistico, scavando nella memoria culturale di ogni attore, cerca di risvegliare emozioni e spaccati sociali di ogni attore-detenuto. Una sorta di ?contaminazione? culturale in cui si mescolano tradizioni popolari e dialetti di ognuno, testi classici e canti. Un?esperienza che si pone l?obiettivo di restituire ai detenuti una libertà spirituale ed espressiva.


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