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Il papa in Angola, il paese ricco dove sono tutti poveri

Le ragioni del viaggio di Benedetto XVI

di Padre Giulio Albanese

Cresce del 25% all’anno grazie al petrolio.
Ma su 16 milioni di abitanti,
ben 14 sono in condizioni di miseria. Cinquecento anni fa fu il primo Paese africano a diventare cristiano.
Per questo il suo destino
sta tanto a cuore alla Chiesa
Benedetto XVI si accinge a visitare due Paesi africani che si affacciano sul grande Golfo di Guinea: il Camerun e l’Angola. È la prima volta che Papa Ratzinger mette piede nel continente dall’inizio del suo mandato, in vista soprattutto della seconda Assemblea speciale del Sinodo per l’Africa che si terrà a Roma nell’ottobre di quest’anno. Un momento di grazia e di discernimento per l’Africa, martoriata in questi anni da un’irrefrenabile ondata di violenze e in tempi più recenti dai drammatici effetti della crisi finanziaria internazionale con il conseguente drastico taglio dei fondi destinati alla cooperazione da parte dei donors. Un’assise episcopale dunque che dovrà affrontare i grandi temi della riconciliazione, della giustizia e della pace nel contesto globale dell’evangelizzazione di un continente grande tre volte l’Europa.

Infondere speranze
È in questa cornice “missionaria” che si colloca il viaggio papale, con l’intento anche d’infondere speranza alle giovani Chiese disseminate in un contesto geopolitico segnato da gravi sperequazioni sociali. Il programma prevede in Camerun la consegna all’episcopato africano dell’Instrumentum Laboris sinodale, mentre la visita del Santo Padre in Angola sarà l’occasione propizia per celebrare solennemente i 500 anni di evangelizzazione di quel Paese. La prima tappa del viaggio di Benedetto XVI ha certamente un forte significato “teologico-pastorale”, non foss’altro perché l’esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Africa, venne presentata ufficialmente da Giovanni Paolo II il 14 settembre 1995 proprio nella capitale camerunese, Yaoundé, raccogliendo le conclusioni del primo Sinodo dei vescovi africani svoltosi a Roma nel 1994.
C’è pertanto l’esigenza da parte di Benedetto XVI di dare continuità ad un cammino di riflessione in modo che il prossimo Sinodo, inteso come momento di discernimento in vista di un maggiore impegno nel futuro, possa suggerire proposte pastorali in un continente caratterizzato, parafrasando il teologo camerunese Engelbert Mveng, da una “povertà antropologica” retaggio dell’epoca coloniale, dalla crescente coscienza di un fallimento delle attuali classi dirigenti, unitamente ai disastri di una globalizzazione selvaggia che ha acuito il numero e le sofferenze dei ceti meno abbienti, soprattutto in situazioni di guerra.

Angola, Paese di paradossi
L’Africa è il continente in cui, a seguito delle ostilità tra opposti schieramenti, sono in corso le principali emergenze umanitarie del pianeta: quella darfuriana e somala. E anche laddove non si combatte più, come in Sierra Leone o Liberia, la povertà sembra farla da padrone.
In questo senso è molto significativa la tappa angolana trattandosi forse del Paese africano in cui sono maggiormente evidenti le contraddizioni determinate dalla risoluzione di un lunga guerra civile quasi trentennale, cominciata nel 1975, all’indomani della conquista dell’indipendenza. L’Angola è una cartina al tornasole dei paradossi che caratterizzano il continente africano. Se da una parte infatti la crescita economica angolana sfiora il 25% all’anno grazie al fiorente business petrolifero, dall’altra è a dir poco incandescente la questione sociale: su un totale di 16 milioni di abitanti, 14 sopravvivono in condizioni di miseria, mentre gli analfabeti superano il tasso del 70%.
Per non parlare dei rigurgiti indipendentistici della più riottosa delle 18 province, la Cabinda – da cui si estrae peraltro la metà del greggio angolano – dove si consuma un conflitto dimenticato dalla stampa internazionale.

Uno stesso futuro
Una cosa è certa: il continente africano, soprattutto a livello di società civile – Chiese cristiane in primis – ha dimostrato di non voler continuare ad essere stigmatizzato per le sue sciagure quasi fosse una sorta di metafora delle disgrazie umane. D’altronde, lungi da ogni indebita strumentalizzazione ideologica, dobbiamo prendere atto che la dialettica tra povertà e ricchezza si gioca anche su altri piani. Laddove per le culture occidentali appare scontato il primato degli affari sulle persone, i popoli africani ci rammentano quello che diceva saggiamente uno dei personaggi generati dall’estro letterario dello scrittore senegalese Cheick Anta Diop a proposito dei rapporti Nord/Sud: «Non abbiamo avuto lo stesso passato, voi e noi, ma avremo necessariamente lo stesso futuro». Un destino comune planetario, ben espresso nell’evangelizzazione, intesa proprio come globalizzazione sagace di Dio.

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