Volontariato

Piccolo non è bello: «Manca la voglia di lottare»

L'analisi dei direttori dei Centri di servizio in Meridione

di Redazione

«Spesso c’è l’ansia di presentare progetti», spiega Tina Paggi del Csv Basilicata. Dimenticando che
in alcuni casi occorrerebbe fare fronte comune perché un servizio sia garantito
davvero a tutti»La frammentazione è la mina vagante del volontariato meridionale? I Centri di servizio (Csv) che Vita ha contattato concordano. Le piccole organizzazioni sono a rischio infatti di: autoreferenzialità, scarsa capacità di far rete, indebolimento della vision. Sono differenti, tuttavia, le opinioni sulle cause del fenomeno.
Secondo Tina Paggi, direttore del Csv Basilicata, il numero più contenuto di attivisti è l’effetto naturale dell’esaurirsi della spinta delle grandi associazioni di filiera nazionali. «È come un albero che ha già dato i suoi frutti. Ora, sulla spinta della contrazione del welfare, sorgono organizzazioni più piccole che non beneficiano di un’organizzazione strutturata».
Stefano Morena, direttore del Csv di Catanzaro, ritiene invece che la molecolarizzazione sia il risultato anche della «mancanza di un reale processo democratico nelle associazioni». Sembra quasi un cane che si morde la coda: pochi volontari, presidenti factotum, conseguente resistenza a mettersi in gioco e ad allargare la compagine.
Sulla stessa linea d’onda è la direttrice del Csv di Napoli, Valeria Castaldo. «C’è poca apertura all’esterno. Magari», osserva, «si dà vita a nuove organizzazioni ma non si prova a incrementare il numero di soci di quelle esistenti».
Più fiduciosa la direttrice del Csv di Bari, Alessandrina Gernone, che sottolinea l’importanza del processo aggregativo favorito dal cosiddetto “bando della perequazione sociale” finanziato con le risorse aggiuntive stanziate dalle fondazioni bancarie per le organizzazioni del Sud. Sia Bari che Napoli, inoltre, stanno investendo molto in progetti di reclutamento di nuovi volontari.
Quanto al secondo rischio, l’indebolimento dell’elemento della gratuità, i Csv sottolineano gli sforzi messi in campo per formare le associazioni e disincentivare il fenomeno. In alcuni casi, afferma Castaldo, si tratta di vera e propria ignoranza della normativa.
Secondo Paggi del Csv lucano, invece, il vero problema non sarebbero tanto i rimborsi facili quanto una sorta di «ansia da progetto». «Le organizzazioni che non presentano almeno un progetto all’anno si sentono quasi fallite. Se scoprono che sul territorio manca un servizio sociale subito propongono un progetto. Il punto è che serve sì operare ma serve anche battersi, scendere in piazza, perché un servizio sia garantito a tutti. Ci vuole un pizzico di “rabbia sociale”. Va bene l’azione ma ci vuole anche l’elaborazione di pensiero: far ragionare le istituzioni sulle necessità sociali».


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