Mondo

Le ong: andiamo avanti

Coopi e Intersos continuano a operare. Amnesty: 2 milioni a rischio fame e malattie

di Emanuela Citterio

«Per il momento andiamo avanti, le nostre attività proseguono normalmente. Non ci schieriamo con nessuna fazione e interveniamo nelle diverse aree a seconda delle necessità». Lo afferma Valentina Zita, responsabile di Coopi per il Sudan, il giorno dopo l’incriminazione del presidente sudanese Bashir da parte del Tribunale penale internazionale e dell’espulsione di alcune ong dal paese. «Le Nazioni Unite ci hanno chiesto di non muoverci dalle nostre sedi locali» precisa la responsabile di Coopi. «In questi giorni, quindi, i nostri operatori evitano di uscire dagli uffici». In Darfur Coopi – Cooperazione Internazionale è attiva dal 2004 e al momento conta cinque cooperanti espatriati e cinquanta operatori locali nella regione.

Ieri il governo sudanese ha intimato a 10 organizzazioni non governative europee di lasciare il Paese entro 24 ore. Si tratta di CARE, l’ong inlgese OXFAM, Medici senza frontiere Olanda, Mercy Corps, Save the Children, the Norwegian Refugee Council, l’International Rescue Committee, Action Contre la Faim, Solidarites, CHF International. Alle ong è stato revocato il permesso governativo di operare in Sudan poche ore dopo la notizia del mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale nei confronti dello stesso el Beshir per i massacri commessi in Darfur.

Fino a ieri erano presenti in Darfur, oltre al coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite (Ocha), 85 organizzazioni non governative e circa 17mila operatori (in maggioranza sudanesi).

Gli italiani in Sudan sono 415 (circa 300 nella capitale). Solo una ventina in Darfur. Fra le ong italiane ci sono Intersos e Coopi.

Secondo Amnesty International, due milioni e duecentomila persone sono a rischio di fame e malattia a seguito della decisione, presa ieri dal governo sudanese di espellere le 10 ong.

«Milioni di vite sono a rischio e non c’è tempo, nel modo più assoluto, per i giochi politici» ha dichiarato Tawanda Hondora, vicedirettore del programma Africa di Amnesty International. «Queste organizzazioni forniscono la maggior parte degli aiuti umanitari a oltre due milioni di persone che si trovano in stato di vulnerabilità. Con la loro espulsione, il governo sudanese ha preso di fatto l’intera popolazione del Darfur in ostaggio. Quest’azione aggressiva dev’essere condannata nel modo più netto possibile dall’Unione africana, dalla Lega degli stati arabi e dall’intera comunità internazionale».

«La popolazione del Darfur, che da sei anni paga le conseguenze del conflitto, ora viene punita dal suo stesso governo come reazione al mandato di cattura» ha aggiunto Hondora. «Le autorità sudanesi devono immediatamente ritornare sulla propria decisione e consentire alle organizzazioni umanitarie di continuare a lavorare per salvare vite umane. Ogni altra alternativa è semplicemente impensabile».

«Come ogni altro paese, il Sudan ha la responsabilità, derivante dal
diritto internazionale, di garantire l’accesso all’assistenza internazionale alle persone che ne necessitano. Il fatto che ci sia un mandato d’arresto per il presidente del paese è del tutto irrilevante rispetto a questa questione» ha detto Hondora. Amnesty International ha inoltre ricordato che sulla base del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, ratificato dal Sudan, le autorità sudanesi hanno l’obbligo di astenersi da azioni che violino i diritti economici, sociali e culturali dei propri cittadini e di chiedere assistenza internazionale se non sono in grado di adempiere a tale obbligo.

Leggi il POST di Giulio Albanese sul mandato d’arresto a el Bashir


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