Fanno. Semplicemente. Dal basso e dal dentro: mosse da un’urgenza dell’agire che sentono, viscerale, tamburellare nella pancia. Come un mal di stomaco, o un malessere diffuso, che già contiene in sé la soluzione. Pratica, immediata, grezza talvolta: attivarsi. Non da domani, da oggi. Non quando ci saranno i fondi e i finanziamenti, adesso che il giocare in difesa non ti è più possibile. E non per forza su scala mondiale, per cambiare il mondo: su scala minima, per migliorare l’orizzonte in cui si muovono quotidianamente. La famiglia, il quartiere, la scuola, la mensa dell’ufficio, la città. Un orizzonte minimo che poi diventa anche mission, obiettivo, business plan, impresa sociale. Ma solo dopo. Dopo averti sconquassato e squadernato la pancia.
Il numero di Vita per questo 8 marzo, nato da un’idea della nostra Carlotta Jesi, è dedicato a un nuovo attivismo al femminile che sta cambiando, e trainando, la società civile italiana. Lo dicono i numeri: nelle cooperative sociali il 45% della dirigenza è donna, in particolare al Sud, e ci sono donne ai vertici delle due più grandi confederazioni. Nel mondo delle associazioni, nell’arco degli ultimi quattro anni, la quota di donne è aumentata del 10%. E lo dicono i contorni di un non profit che dall’emergenza umanitaria, dalla prevenzione e dalla cura del disagio sta sconfinando sempre più nel nostro quotidiano: il nido, il gruppo di acquisto solidale, il corso di aggiornamento, la collaborazione cooperativa con i vicini. Un attivismo discreto e chiassoso, razionale e caotico, pianificato nel dettaglio o improvvisato come una cena tra amici, ma che trae la sua forza dalla stessa cosa: nasce all’incrocio tra più dimensioni. La famiglia, la scuola, il lavoro, la città, appunto. Dal fare rete, necessariamente, per riuscire a far quadrare tutto.
Ma questo numero è dedicato anche alle donne come forza di “persistenza”: sono quelle figure che trovi sempre fedelissime al loro posto. Che non mancano mai alla loro paziente tessitura quotidiana: come accade nel mondo della scuola, o nelle tantissime realtà dell’assistenza. È dedicato alle centinaia di migliaia di care giver, che non delegano, che si occupano con amore e senza fare calcoli della vita fragile.
Un numero femminista?, ha chiesto qualcuno quasi preoccupato in redazione. Il contrario, piuttosto. Le storie che raccontiamo sono storie, e vite, di donne che sono sì impegnate su più fronti, e sì sempre di corsa, ma vivono la cosa come un privilegio. Un punto d’osservazione privilegiato, per capire e per agire. Per cogliere opportunità laddove altri occhi, quelli maschili, vedono solo problemi. Per alimentare rapporti e relazioni come miglior antidoto ai conflitti.
Ma non è neppure un numero riparatorio. È semplicemente un numero ammirato verso quella componente della nostra società che sta dimostrando di essere il vero fattore di novità, vissuta e non teorica. «Allacciatrici di mondi», le chiamava Anita Roddick, l’imprenditrice sociale che fondò il Body Shop scomparsa l’anno scorso. Ecco, questo numero dell’8 marzo di Vita è dedicato a tutte le allacciatrici di mondi.
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