Welfare

Far bello tutto, anche una prigione

Lucia Castellano, direttore a Bollate

di Stefano Arduini

Per la rieducazione l’istituto milanese ormai
è un punto di riferimento in tutta Italia. Il segreto?
«Portare il bello dietro le sbarre» Colorato, artistico, allegro, perfino dinamico. Può un carcere essere tutto questo? La risposta ovviamente è: no. Almeno sulla carta. Perché nella pratica è tutta un’altra storia. Benvenuti a Bollate, hinterland nord-ovest di Milano. Istituto a custodia attenuata per detenuti comuni, recita la burocrazia. In realtà, un carcere modello. In Italia. Ma non solo. Dentro questa scatola di cemento circondata da asfalto, con finestre che sembrano francobolli, dal 2002 la cabina di comando è nelle mani di Lucia Castellano (al cui fianco lavorano altre tre donne, le due vicedirettrici e la comandante di reparto). Avvocato, napoletana, classe 64. La sua visione della pena («deve servire alla ri-educazione, altrimenti uno qui dentro cosa ci sta a fare?») quaggiù ha trasformato l’intero penitenziario. Partendo proprio dall’estetica. Vedere per credere: ogni finestra ha un colore differente e in ogni stanza c’è un poster di arte contemporanea, solo per fare due esempi.
Vita: Perché questa scelta?
Lucia Castellano: Molto semplicemente perché a me le cose brutte non piacciono. Vivere in uno spazio bello è determinante. Anche in un carcere.
Vita: Tutti parlano di Bollate come di un modello. Lo sarebbe diventato anche sotto la direzione di un uomo?
Castellano: Non so. So però che quello che siamo lo dobbiamo anche alla programmazione della nostra amministrazione che ha voluto che le cose andassero in un certo modo.
Vita: Sì, però lei è donna…
Castellano: In un certo senso questo aiuta. L’obiettivo finale anche degli interventi estetici è quello di creare un buon clima. Cosa non facile considerato il fatto che in un penitenziario vivono fianco a fianco carcerati e carcerieri. Però una donna, con l’attenzione di non scadere in certi atteggiamenti ammiccanti, è avvantaggiata rispetto a un uomo, perché, quasi naturalmente, siamo oggetto di attenzioni e cavallerie che un uomo non rivolgerebbe mai ad un altro uomo. E qui dentro su 760 detenuti, i maschi sono 720. Poi, è vero, c’è l’altra faccia della medaglia.
Vita: Ovvero?
Castellano: Che non capisco nulla di pallone. Anzi, io il calcio lo detesto proprio. E qui dentro, diciamo, che è un argomento che va parecchio?
Vita: Come rimedia?
Castellano: Non c’è rimedio a questa pecca. Semplicemente mi occupo d’altro. Per esempio di trovare un lavoro ai detenuti. Oggi fra lavoro esterno e commesse interne sono occupate poco meno di 200 persone. Il mio obiettivo però è di dare un’occupazione a tutti i miei detenuti. Siamo ancora lontani dal traguardo. Per questo è fondamentale curare i rapporti con le aziende che collaborano con noi e cercarne delle nuove.
Vita: Veniamo a lei, donna del Sud immigrata a Nord. Quanto le manca Napoli?
Castellano: Non mi manca, io vivo benissimo a Milano. E poi diciamo che prima della famiglia, per me viene sempre il lavoro. Questo lavoro. Che dopo tanti anni ancora mi piace un sacco.
Vita: Sposata?
Castellano: Divorziata.
Vita: Situazione attuale?
Castellano: Convivo. Felicemente.
Vita: Figli?
Castellano: Nessuno, non ne sono arrivati. Ma non me ne faccio un cruccio.


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