Non profit

l’altra metà del cielo ora è a tutte le latitudini

Dall'Africa subsahariana all'Afghanistan, una tendenza chiara

di Emanuela Citterio

Ci sono ong come Acra in cui l’85% del personale è femminile. E anche tra
gli espatriati le percentuali sono in costante aumento.
I progetti che hanno
le donne come soggetti
sono quelli che portano
i benefici più diffusi
Sono le più vulnerabili, eppure possono risollevare un’intera comunità. È un paradosso quello che emerge dai progetti di aiuto allo sviluppo che riguardano le donne a tutte le latitudini. A raccontarlo sono le cooperanti italiane, dalle direttrici di ong (organizzazioni non governative) alle espatriate sul campo. Perché se la cooperazione internazionale è diventata sempre più attenta al femminile come leva per promuovere lo sviluppo e il protagonismo delle donne è cresciuto nel Sud del mondo, anche lo staff delle ong europee è sempre più rosa.

Una sostanziale parità
«Nella nostra sede l’85% del personale è composto da donne», afferma da Milano la direttrice dell’ong Acra, Elena Casolari. «Gli espatriati nel Sud del mondo invece sono in maggioranza uomini, anche perché ci occupiamo soprattutto di progetti di sviluppo agricolo». Se nel 96 solo il 36% dei cooperanti italiani nei Paesi in via di sviluppo erano donne (dati Siscos), nell’arco di 12 anni il gap si è ridotto di dieci punti percentuali e oggi c’è una sostanziale parità anche all’estero. Non solo: ogni anno aumentano dell’1% le donne che lavorano nel settore, anche sul campo e nelle aree a rischio.
Dalle casse cooperative in Senegal ai corsi di marketing in Afghanistan, alle micro-imprese al femminile in Mauritania sono sempre di più i progetti di cooperazione che vedono coinvolte le donne, anche in contesti culturali che penalizzano di più l’iniziativa femminile. «Lavorare con le donne in Afghanistan non è facile», ammette Silvia Risi, cooperante del Cesvi ad Herat. Gli ostacoli culturali sono fortissimi. È difficile raggiungere le donne, avere accesso al loro spazio anche se, una volta che questo avviene, si sperimentano delle aperture insospettabili».
A Herat e a Mazar-i-Sharif Cesvi promuove corsi di formazione professionale che coinvolgono 170 donne, da quelli di ostetricia, cucito e tessitura a quelli di informatica e fotografia. «La cosa che mi ha stupito di più è che nessuna delle donne che abbiamo raggiunto ha subito particolari restrizioni da parte della famiglia o della propria comunità, tutte hanno accettato e partecipato fino alla fine».

Un click al femminile
Per selezionare le beneficiarie Cesvi si affida al ministero del Lavoro afgano. «Il modo migliore per superare le barriere è affidarsi alle realtà radicate sul posto, che siano istituzioni oppure ong locali», afferma la cooperante italiana. «D’altra parte essere una donna che avvicina altre donne rende tutto più facile». A volte capita che le limitazioni imposte dalla società si trasformino in un vantaggio: «L’abbiamo constatato in occasione del corso di fotografia. Qui la festa per il matrimonio è rigorosamente divisa in due, da una parte c’è quella delle donne e dall’altra quella degli uomini. Solo una donna può accedere allo spazio femminile, quindi quando abbiamo finito il corso le partecipanti sono state subito contattate per realizzare servizi fotografici».
In Mauritania, Paese a maggioranza islamica, il governo ha lanciato una campagna di sensibilizzazione contro l’inquinamento a partire da un progetto di successo gestito da un centinaio di cooperative di donne in partnership con un’ong italiana, la Lvia di Cuneo. «Qui la dispersione nell’ambiente della plastica è una vera piaga», spiega Tiziana Gidoni, cooperante Lvia nella capitale del Paese africano, Nouakchott. «Dal centro alla periferia fino a un raggio di molti chilometri attorno alla città il terreno è disseminato di sacchetti, e si sa che la plastica impiega più di mille anni a smaltirsi».
Lvia è stata invitata a iniziare un progetto di riciclaggio a Nouakchott dal commissariato ai Diritti dell’uomo e alla Lotta contro la povertà mauritano, dopo la visita di una delegazione al Centro per la raccolta e il pre trattamento dei rifiuti plastici promosso dall’ong italiana in Senegal. «Siamo partiti nel 2006 con 12 cooperative locali composte da donne», racconta Gidoni, «oggi le cooperative sono 118, per un totale di 1.532 attiviste che portano la plastica al centro di riciclaggio e fanno sensibilizzazione in giro per la città. I loro quartieri adesso sono puliti».

Microcredito è donna
A puntare tutto sulle donne come agenti di sviluppo in questi anni è stato soprattutto il microcredito. «Ho deciso di lavorare nella cooperazione internazionale dopo aver letto il libro Il banchiere dei poveri di Muhammad Yunus», racconta la direttrice di Acra. «Lavoravo da dodici anni in banche di investimento e ho deciso di svoltare a 360 gradi. Ora vorrei che il microcredito venisse riconosciuto come strumento importante per costruire una finanza a misura d’uomo sia nel Nord che nel Sud del mondo. Yunus ha dimostrato che finanziare le donne produce benessere per tutta la comunità. Sarà interessante procedere su questa strada».


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