Economia

Aziende, ora si investe al femminile

Aumentano sempre di pù le politiche family friendly

di Chiara Cantoni

Gli obiettivi di Lisbona, 60% di occupazione femminile, sono ancora lontani. Ma i programmi di conciliazione casa-lavoro sono sempre più diffusi. Anche perché ormai non si parla più di protezione, ma di promozione. Risultato? Cambiano annche gli stili di leadership Far coincidere gli orari del nido con quelli dell’azienda, conciliare improvvisi contrattempi familiari con l’agenda di lavoro, avere tempo per sbrigare le faccende domestiche? A un anno dal termine fissato a Lisbona nel 2000 per raggiungere entro il 2010 il 60% nel tasso di occupazione femminile, i conflitti tra i ruoli di lavoratrice-moglie-madre descrivono ancora i termini di una difficile convivenza: quella fra tutela e parità nel lavoro delle donne.

Eppur qualcosa si muove
Le aziende cominciano a diversificare gli stili manageriali, investendo anche su leadership femminili; alcune mettono in campo politiche family friendly; tutte hanno fatto propria (almeno nel vocabolario) l’idea di “work life balance”: equilibrio fra lavoro e vita. «Un concetto caro a una multinazionale come Enel, da sempre attenta al nucleo familiare dei propri dipendenti». Alle spalle due gravidanze da lavoratrice precaria, Marina Migliorato, oggi responsabile Csr e rapporti con le associazioni del Gruppo, sa bene quale sia la difficoltà di gestire senza tutele la realtà un doppio lavoro. «Abbiamo sviluppato programmi di mentorship a sostegno dell’inserimento femminile e introdotto politiche pensate per le nostre dipendenti». Un’impostazione che Migliorato sposa anche sul piano personale: «Le cosiddette politiche di tutela delle donne, che permettono loro di passare più tempo a casa mentre gli uomini vanno a lavorare, sono spesso soluzioni boomerang, funzionali a una subalternità dei ruoli». Come dire, più promozione e meno protezione.
Due binari che, nel caso di Sanofi-Aventis, viaggiano paralleli. Sulla trasparenza dei percorsi di carriera, Annaletizia Baccante, responsabile Produzione e industrial technology allo stabilimento aquilano di Scoppito non ha il minimo dubbio. «Il 50% delle nostre risorse umane sono donne e le possibilità sono assolutamente paritarie. Certo è un ambiente di lavoro dove è richiesto molto impegno e molta disponibilità: dipende quindi da quanto si è disposti a investire e a sacrificare del resto». Di sacrifici Annaletizia ne ha fatti e continua a farne tanti, affrontando giornate lavorative di 10-12 ore, ma alla maternità non ha comunque rinunciato. «La possibilità di un orario flessibile è certamente un grande vantaggio. Per il resto mi organizzo».

Maternità a stipendio pieno
Flessibilità è la parola magica. Anche a Vodafone: «Le maternità, per esempio, sono retribuite a stipendio pieno: non per cinque ma per nove mesi», racconta Caterina Torcia, manager per la responsabilità di impresa. «Ho due figli piccoli. Inutile dire che ne approfittato per entrambi». Una politica che si affianca alla scelta di escludere dai turni notturni e festivi le dipendenti incinta della Customer Care. «Ovviamente la retribuzione non ne risente».
All’interno di Novartis Farma, invece, i temi della diversità e dell’inclusione guadagnano piena cittadinanza grazie al ruolo dedicato del Diversity and inclusion champion: «Un titolo spesso assegnato a donne con ruoli manageriali, sulla base di un turn over biennale», spiega Tiziana Abbà, “campionessa” designata per il 2009/2010, nonché front office e Csr manager. «A fronte di una maggiore presenza femminile anche ai vertici della piramide aziendale, stiamo promuovendo un processo di cambiamento culturale, per accostare i dipendenti a stili di leadership diversi, come quello femminile, in genere meno assertivo e direttivo del modello maschile predominante».
Quando Sabina Ratti, fresca di dottorato, ha intrapreso la carriera manageriale alla fine degli anni 80, Eni, dove oggi è responsabile della Sostenibilità, era ancora una società tutta al maschile. «Oggi le cose stanno cambiando», racconta. «Nel 2008, a livello internazionale, le donne sono aumentate del 10% e gli uomini solo del 4%. Non solo, è cresciuta del 20% la rappresentanza femminile nei ruoli manageriali». Un investimento sui talenti “rosa”, ancor più significativo se si considerano le differenze culturali dei Paesi in cui opera il colosso del petrolio: «Libia, Algeria, Nigeria, Angola, Pakistan, dove accettare un capo donna, per un uomo, è davvero difficile».

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