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Mandato d’arresto per Al Bashir
La Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aja ha emesso un ordine di arresto internazionale contro il presidente sudanese Omar al Bashir per i crimini in Darfur
Crimini di guerra, crimini contro l’umanità, omicidio, trasferimenti forzati di civili, sterminio, stupro e tortura. Sono i capi di imputazione a carico di Omar al Bashir per i massacri commessi in Darfur, la regione in guerra dal 2003. La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja oggi ha emesso un ordine di arresto internazionale contro il presidente sudanese, riconoscendolo responsabile dei crimini commessi nella regione sudanese, e ritenendo invece insufficienti le prove per quanto riguarda l’accusa di genocidio.
La richiesta d’arresto era stata avanzata lo scorso 14 luglio dal procuratore capo della Corte, Luis Moreno Ocampo. È la prima volta che tribunale internazionale spicca un mandato d’arresto di un capo di Stato in carica. Bashir è alla guida del Sudan, dal colpo di Stato militare del 30 giugno 1989.
La reazione di Khartoum
Centinaia di dimostranti sono scesi in strada a Khartoum, la capitale del Sudan, per protestare contro la decisione della Corte, riferiscono oggi fonti della Reuters. Il portavoce del presidente sudanese, Mustafa Osman Ismail ha detto alla Tv di Stato che il governo non è sorpreso e ha definito la sentenza il tassello di un piano «neocolonialista», accusando i Paesi occidentali di non volere che «il Sudan diventi un Paese stabile».
Un clima di crescente tensione si registra anche in Darfur. Funzionari delle Nazioni Unite hanno riferito che centinaia di soldati governativi hanno sfilato nelle strade della capitale El Fasher in una sorta di dimostrazione di forza. «Era come se volessero far capire alla popolazione che è ancora sotto il loro controllo» ha detto alla Reuters un funzionario Onu. «Il messaggio era: Siamo qui. Attenti a quello che fate». I soldati sono passati attraverso gli accampamenti con pick-up sui quali erano montate mitragliatrici. Nel frattempo aerei da guerra sorvolavano la città a bassa quota, riferisce lo stesso funzionario Onu.
Le reazioni degli altri Paesi
La Lega Araba, la Cina e l’Unione africana hanno criticato la decisione dell’Aja. L’Egitto si appresta a chiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di sospendere il mandato di arresto, ha fatto sapere il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Aboul Gheit. La Lega Araba già alla vigilia della decisione ha detto che il mandato d’arresto avrebbe portato «pericolose conseguenze» sulla pace nel Darfur e compromesso il dialogo anche fra Nord e Sud Sudan, la regione meridionale ricca di petrolio uscita da una guerra civile con Karthoum durata due decenni.
Le organizzazioni umanitarie
L’organizzazione Medici senza frontiere ha annunciato oggi di aver ricevuto l’ordine dal governo di Khartoum di richiamare il proprio personale internazionale dalla regione occidentale del Darfur.
In merito alla decisione della Cpi si è espressa Amnesty International, che ha dichiarato che l’imputato deve consegnarsi alla giustizia e sottoporsi a processo. «L’annuncio odierno è un segnale importante, sia per il Darfur che per il resto del mondo» ha detto Irene Khan, Segretaria generale di AI, «chi è sospettato di violazioni dei diritti umani, a prescindere da quanto sia potente, affronterà un processo». Amnesty sottolinea che le autorità sudanesi hanno l’obbligo legale di arrestare chiunque sia citato in un mandato d’arresto dell’Icc, ai sensi della Risoluzione 1593 (2005) che chiede al Sudan di cooperare con l’Icc.
Secondo Amnesty International, se il presidente al Bashir lasciasse il Sudan, il governo di qualsiasi paese sarebbe obbligato a negargli protezione, ad arrestarlo immediatamente in quanto ricercato e a consegnarlo all’Icc.
Leggi l’intervista di Vita ad Antonio Cassese, che ha presieduto la commisione d’inchiesta Onu sui crimini commessi in Darfur
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