Caro Bonacina, i suoi articoli e blog in questi giorni sono stati spunto di discussione con i miei tre giovani figli sul drammatico caso di Eluana. Tento di riprendere alcune riflessioni e i molti dubbi. Primo. Papà Englaro, con la figlia il soggetto più drammaticamente coinvolto in questa vicenda. Definirlo “disumano” come ha fatto qualcuno significa non vedere il dolore infinito di un padre che ha sofferto con e per Eluana per 17 anni. Difendere Eluana in nome della Carità e nello stesso tempo additare suo padre Peppino come assassino di sua figlia, questo sì è veramente disumano. Credo che tutti noi, laici e cattolici, dovremmo chinare il capo di fronte al dramma che ha colpito questa famiglia. Secondo. Difendere la vita. Sono assolutamente e fermamente contrario ad ogni forma di eutanasia senza se e senza ma. Il problema dell’accanimento terapeutico tuttavia esiste. Qual è il suo confine? A chi spetta giudicare? Quanti di noi – in coma – vorrebbero essere alimentati artificialmente per 17 – o 30 o 40 – anni? Impostare, tuttavia, la discussione per la definizione legislativa del pur necessario testamento biologico sul presupposto che ognuno è padrone del proprio corpo e libero di decidere della sua esistenza, è profondamente sbagliato. Se vedo un uomo che si sta suicidando cerco di fermare il suo gesto e capire il motivo delle sue sofferenze o mi limito a guardarlo per paura di violare la sua privacy? Troppo facile invocare la libertà dell’uomo non dalla povertà e dalle paure ma dalla (nostra comoda) vita. Questa falsa libertà è la più grande menzogna del mondo moderno e il fondamento ultimo dell’egoismo. È anche vero, d’altro canto, che la scienza e la tecnologia medica sono arrivati a livelli (inutilmente) raffinati e costosi per prolungare l’esistenza delle persone e alcuni interrogativi sorgono spontanei. È giusto, in nome della vita, eseguire nella vecchia opulenta Europa costosissimi virtuosismi clinici per prolungare artificialmente la sussistenza di una persona, quando nel terzo mondo con le stesse risorse si potrebbero curare milioni di persone? Infine, un ricordo personale. Le suore di Madre Teresa di Calcutta nella loro casa accoglienza di bimbi e ragazze madri di Primavalle a Roma hanno accudito dalla loro nascita per circa 12 anni due gemellini, maschio e femmina, cerebrolesi, incapaci di parlare, d’intendere e di volere, di muoversi. Alla loro morte Sister Elena ha risposto così a chi le chiedeva che senso avesse avuto la loro esistenza e la fatica di tante persone: «Anch’io mi sono posta questa domanda. Ma non ho mai visto tanto amore come in quella loro stanza. Ogni giorno l’esistenza dei nostri “due angeli” ha generato un vortice di bene. Decine di persone si sono alternate ad assisterli e queste due (apparentemente) inutili esistenze hanno ricolmato di pace e serenità tutti coloro che sono entrati in contatto con loro».
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