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Belloni: L’Italia punterà sull’Africa

La metà dei fondi (diminuiti del 60% rispetto al 2008) sarà impegnata nel Continente nero. Lo annuncia a Vita.it Elisabetta Belloni, capo della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo della Farnesina

di Emanuela Citterio

La metà dei fondi gestiti direttamente dalla cooperazione italiana targata Ministero Affari esteri nei prossimi tre anni andranno in Africa. Ma le risorse complessive sono talmente esigue (il 60% in meno nel 2009 rispetto al 2008) che viene da chiedersi quale sarà l’impatto finale nel continente più povero del mondo.


Elisabetta Belloni è a capo della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del ministero Affari Esteri. A Vita.it ha fatto avere un documento che illustra iniziative e priorità della cooperazione italiana in Africa per prossimi tre anni, preparato in occasione del recente viaggio di Franco Frattini in questo continente (scarica allegato a lato).

Nelle linee di programmazione della Dgcs per i prossimi tre anni si legge che il 50% delle risorse disponibili per la cooperazione internazionale sarà investite in Africa. Perché questa scelta?

L’Africa rimane una priorità assoluta della Cooperazione italiana allo sviluppo. Questo perché per tradizione il nostro Paese ha sempre investito molto in questo continente ma anche perché l’Africa è uno dei temi prioritari dell’agenda della Presidenza italiana del prossimo G8.

Quali sono le priorità della cooperazione italiana in Africa?

Ci prefiggiamo in questi tre anni di identificare delle priorità settoriali la sanità, la lotta alla crisi alimentare, l’e-government, l’ambiente e in particolare l’acqua e infine la formazione nella convinzione che sia il mezzo migliore perché questi Paesi possano governare in proprio lo sviluppo».

Anche contenimento dell’immigrazione è una priorità anche della cooperazione italiana?
In Senegal è stato lanciato un piano che prevede di integrare le rimesse degli immigrati senegalesi in modo da convogliarle verso lo sviluppo di piccole-medie imprese locali. Creare opportunità di impiego nelle zone di più forte emigrazione è un indirizzo contenuto nelle linee guida per i prossimi anni.


Il dimezzamento dei fondi a disposizione della Dgcs come influirà sulla cooperazione in Africa?
È innegabile che la diminuzione delle risorse e la crisi economica influiscano. Nel finanziare i progetti il Mae privilegerà le realtà che riescono a fare rete, lavorando insieme su un tema o in una stessa regione. Un altro indirizzo è quello di selezionare meno progetti ma di ampia portata piuttosto che tante piccole iniziative di cooperazione.

Nelle linee guida si citano «strumenti innovativi di finanziamento» e la partnership fra pubblico e privato nella cooperazione allo sviluppo. Di cosa si tratta?
Sono al vaglio diverse ipotesi, come per esempio la tassazione di prodotti specifici per recuperare fondi aggiuntivi da destinare all’Aiuto pubblico allo sviluppo e la d-tax, cioè la destinazione di una quota di Iva, ai Paesi poveri.. Durante il prossimo G8 il governo sarà in grado di presentare una o due di queste iniziative.

L’impressione è che il recente viaggio del ministro Frattini in Africa abbia avuto soprattutto l’obiettivo di sostenere le imprese italiane, in particolare in Nigeria e Angola, più che promuovere la cooperazione internazionale…

Ho accompagnato il ministro solo in Sierra Leone e in Senegal. Per quanto riguarda questi due Paesi l’aspetto della cooperazione è stato predominante. Nel primo abbiamo visitato un progetto sanitario di eccellenza gestito dalla Fondazione Don Gnocchi. E anche in Senegal nel dialogo con i vertici istituzionali, la volontà dell’Italia di proseguire nel sostegno allo sviluppo è emerso in modo chiaro. Certamente anche la cooperazione è uno strumento per fare sistema. Quando l’Italia nel suo insieme promuove una strategia di cooperazione non può prescindere da quelle che sono le risorse italiane a disposizione, che siano organizzazioni non governative o imprese.


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