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Obiettivi del millennio? Forse nel 23esimo secolo

La corsa per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio (Mdg) è ferma o troppo lenta rivela il rapporto di Social Watch.

di Redazione

In Africa gli obiettivi di sviluppo del Millennio saranno vicini ad essere raggiunti nel 23esimo secolo e in Asia Centrale nel 2042. Lo sostiene il rapporto “Crisi globale. La risposta: ripartire dai diritti” della rete internazionale Social Watch, presentato oggi a Roma. I dati rapporto smentiscono gli annunci di una povertà globale in rapida diminuzione fatti da istituzioni come la Banca Mondiale. Tramite l’Indice delle Capacità di Base (BCI), il rapporto analizza lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare di 176 paesi. Si tratta di un indice alternativo che tiene conto dello sviluppo sociale e che risulta dalla media semplice di tre indicatori: percentuale di bambini che completano il quinto anno di istruzione elementare; mortalità tra i bambini con meno di 5 anni; percentuale di nascite assistite da personale medico qualificato. Grazie alle variabili prese in considerazione, l’indice è correlato in modo stretto agli altri fattori che determinano lo sviluppo sociale.

Il Social Watch ritiene che la soglia di povertà stabilita dalla Banca Mondiale – un dollaro al giorno – non sia affidabile. Il metodo adottato dalla Banca Mondiale porta infatti a sovrastimare i successi della lotta alla povertà, come dimostra la recente correzione apportata dalla stessa Banca alle sue stime nell’estate del 2008. In seguito alla rettifica, il numero stimato di persone sotto la soglia di povertà, per il 2005, è passato da un miliardo a 1,4 miliardi: una correzione di quasi il 50%.

«L’indice Bci mostra che la maggioranza della popolazione mondiale vive in paesi con indicatori sociali immobili o che progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio» sottolinea in un comunicato Social Watch. Tra i paesi di cui è possibile misurare l’evoluzione rispetto ai dati del 2000, solo 21 registrano progressi degni di nota, altri 55 mostrano miglioramenti lenti e ridotti, mentre ben 77 sono fermi. Passi indietro si registrano invece in Asia Centrale, America latina, Caraibi e persino in Europa (Georgia). Il peggioramento più consistente degli indicatori sociali si osserva nei paesi dell’Africa subsahariana. Non appena gli effetti della crisi alimentare, scoppiata nel 2006, cominceranno a esser inclusi nelle statistiche, i ricercatori del Social Watch prevedono che, con ogni probabilità, la situazione peggiorerà.

L’andamento degli indicatori sociali ha subito in tutto il mondo un rallentamento nel corso del 2007. Al ritmo attuale, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio concordati a livello internazionale non saranno raggiunti entro il 2015, a meno che non intervenga un cambiamento sostanziale.

Una conferenza Onu per riscrivere le regole
Di fronte alle crisi finanziaria, alimentare, energetica e climatica, il Social Watch chiede un deciso cambiamento di rotta, proponendo un nuovo approccio basato sui diritti e la convocazione da parte delle Nazioni Unite di una conferenza internazionale allargata per rivedere il sistema di governo della finanza e dell’economia. Tra le cause che hanno rallentato o fatto regredire gli indicatori sociali in tutto il mondo all’inizio degli anni Novanta Social Watch individua: deregolamentazione finanziaria; privatizzazione dei servizi; liberalizzazione del commercio internazionale; apertura delle economie nazionali ai flussi di capitali e agli investimenti.

Italia: aiuti allo sviluppo al minimo storico
Sotto la lente del Social Watch c’è anche l’Italia, dove resistono elevati livelli di povertà in alcune aree geografiche e fasce sociali. Ciò incrementa la tendenza a una disuguaglianza sempre più accentuata. A livello internazionale, è decisivo il ruolo che l’Italia potrà assumere durante la presidenza del G8. Se da una parte si riconosce alla diplomazia italiana il merito di aver portato avanti la moratoria universale sulla pena di morte, non si può considerare l’Italia un caso esemplare nelle politiche di aiuto allo sviluppo, che nel 2009 raggiungeranno il minimo storico facendo registrare una percentuale di APS inferiore allo 0.10%.

I diritti e il pragmatismo

Ripartire dai diritti ai tempi della crisi, è non a caso stato il leitmotiv di molti se non tutti gli interventi della mattinata. Diritti che sono cambiati (nel 1948, anno della Dichiarazione, non erano ad esempio così pressanti quelli ambientali e climatici) e che vanno difesi dagli attacchi, probabili, della difficile situazione economica internazionale. Il cui impatto sarà devastante anche nei paesi del Sud del mondo.  Sia sul versante di una possibile riduzione delle rimesse dei migranti sia su quello degli aiuti internazionali. Da questo punto di vista «sarebbe utile attivare non solo le istituzioni, ma anche la società civile», ha sottolineato Andrea Olivero, presidente Acli, ricordando la necessità di cogliere l’occasione della crisi per tentare dei cambiamenti. E se è vero che «occorre pragmatismo», come ha ricordato Marco Zacchera (della Commissione Affari esteri della Camera), è pur vero che il pragmatismo va indirizzato.  Un utile strumento di indirizzo l’ha proposto l’onorevole Savino Pezzotta: «dobbiamo strutturare incontri permanenti tra società civile e politica perché solo facendo sinergia è possibile cambiare le cose e resistere all’onda. Un primo passo potrebbe essere tentato in vista del G8, recuperando il dossier allora voluto dal sottosegretario Sentinelli e nel quale l’associazionismo e le ong avevano avanzato proposte concrete a proposito degli obiettivi del Millennio».

 

 

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